24/02/15

i carusi



(SCN)
« Ca sutta 'nta stu 'nfernu puvireddi
Nui semu cunnanati ‘a tirannia
A manu di li lupi su’ l’agneddi
Ciancitini cianciti, mamma mia »

(IT)

« Poveri noi qua sotto in questo inferno,
noi siamo condannati alla tirannia,
gli agnelli sono in mano ai lupi,
piangi, piangi, mamma mia. »

(Canto popolare di Villalba)

Carusi è un termine siciliano che significa letteralmente "ragazzi": in Sicilia i figli, sia maschi che femmine, secondo l'età venivano detti in successione picciriddi ("bambini", 0-5 anni circa), carusi ("ragazzi", 6-18 anni circa), picciotti ("giovani", 19-30 anni circa: al riguardo si ricordino i "picciotti garibaldini"). In realtà "Caruso" è usato con il senso italiano di "ragazzo" in provincia di Catania, di Messina e a Gela, "picciotto" nelle altre provincie e nel meridione d'Italia.

Cenni storici

Siccome in passato, a causa delle disagiate condizioni economiche, le famiglie mandavano a lavorare i ragazzi ben presto, per renderli fonte di sia pur magro guadagno e per dare loro un mestiere, con l'occupazione essi assumevano la configurazione di "garzoni" o "apprendisti".

Il lavoro e l'apprendistato dei ragazzi avvenivano da contadini, muratori, fabbri, falegnami, ciabattini, barbieri, minatori, ecc.: dovunque ci fosse da potere svolgere un'attività remunerativa.

Carusu deriva dall'espressione latina carens usu che significa "mancante d'esperienza", anche se una volta c'era la consuetudine di rasare completamente la testa dei giovanissimi lavoratori e tale tipo di taglio veniva definito, in siciliano, carusu.

I carusi impiegati nelle solfare venivano arruolati, con una tipologia di contratto chiamato soccorso morto, dalle povere famiglie di origine. Lavoravano, nelle buie gallerie delle solfare, dall'alba al tramonto in piccoli gruppi alle dipendenze del picconiere che li aveva "arruolati", senza alcun rispetto per la loro integrità e salute fisica.

(EN)

« From this slavery there is no hope of freedom, because neither the parents nor the child will ever have sufficient money to repay the original loan. [...]
The cruelties to which the child slaves have been subjected, as related by those who have studied them, are as bad as anything that was ever reported of the cruelties of Negro slavery. These boy slaves were frequently beaten and pinched, in order to wring from their overburdened bodies the last drop of strength they had in them. When beatings did not suffice, it was the custom to singe the calves of their legs with lanterns to put them again on their feet. If they sought to escape from this slavery in flight, they were captured and beaten, sometimes even killed. »

(IT)

« Da questa schiavitù non vi è alcuna speranza di libertà, perché né i genitori, né il figlio potrà mai avere denaro sufficiente per rimborsare il prestito originario. [...]
Le crudeltà a cui i bambini schiavi sono stati sottoposti, come riferito da coloro che li hanno visti da vicino, nessuna crudeltà simile è mai stata segnalata nella schiavitù dei negri. Questi ragazzi schiavi erano spesso picchiati e malmenati, al fine di estorcere dai loro corpi sovraccarichi l'ultima goccia di forza che avevano in loro. Quando i pestaggi non erano sufficienti, vi era l'usanza di bruciare i polpacci delle gambe con le lanterne per rimetterli di nuovo in piedi. Se avessero cercato scampo da questa schiavitù, erano catturati e percossi, a volte anche uccisi. »

(Booker T. Washington; (1912) The Man Farthest Down: A Record of Observation and Study in Europe)

Il lavoro minorile

Il fenomeno del lavoro minorile è stato a lungo diffuso in tutta Italia: nello specifico, il termine caruso era riferito ai minorenni del meridione d'Italia, dopo l'unità.

Secondo la legislazione dell'epoca, era illegale far lavorare un minore di 12 anni, anche perché una (allora) recente legge stabiliva che la scuola dovesse essere obbligatoria per i bambini fino alla terza elementare. Questa normativa veniva, comunque, violata. In genere la situazione di sfruttamento era gestita da lavoratori adulti, che prendevano i carusi come assistenti. Ai genitori dei carusi veniva corrisposto un pagamento anticipato di circa 100, 150 lire. La paga dei carusi era, però, di pochi centesimi al giorno, quindi la situazione di semi-schiavitù poteva protrarsi per anni.

Le condizioni di lavoro erano dure e inaccettabili secondo i criteri odierni di sicurezza; e il rispetto dei diritti umani, dell'infanzia e dei lavoratori era minimo se non nullo. L'orario di lavoro poteva arrivare a sedici ore giornaliere e i poveri sfruttati potevano subire maltrattamenti e punizioni corporali se accusati di furto (il più delle volte la colpevolezza era inesistente), o di scarso rendimento.

Al tema dello sfruttamento minorile si rifà un'opera del pittore siciliano Onofrio Tomaselli, intitolata proprio I Carusi, che si riferisce in particolare all'impiego di giovani braccia nelle zolfare siciliane.

Il termine nella cultura di massa

Il racconto di Giovanni Verga, Rosso Malpelo, descrive accuratamente le condizioni di vita dei carusi di miniera.

Solo alla metà del XX secolo questa situazione di sfruttamento si attenuerà per cessare negli anni fra il 1967 ed il 1970. Nei processi effettuati negli anni cinquanta sono emerse testimonianze raccapriccianti contro gli sfruttatori. In un incidente di miniera in una sola volta sono morti centocinquanta carusi e sulla stele che li ricorda ben ventotto erano senza nome.

Anche il racconto Ciàula scopre la Luna in Novelle per un anno di Pirandello tratta la storia di un caruso di miniera, che per la prima volta vede la luna nella notte, di cui aveva sempre avuto paura.

Il primo film del regista siciliano Aurelio Grimaldi intitolato La discesa di Aclà a Floristella analizzava proprio l'allucinante vita di un povero caruso, sfruttato e abusato nella miniera di Floristella.

fonte: Wikipedia



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