30/01/16

le oscure origini della fiaba "Biancaeve e i sette nani"

Quella di Biancaneve e i Sette Nani è una delle più famose favole del mondo, dapprima conosciuta per la sua stesura da parte dei Fratelli Grimm nelle loro fiabe e poi per il film Disney vincitore del premio Oscar nel 1937.
Come molti racconti dei Grimm si ispira alle leggende e alle storie della tradizione popolare tedesca. La versione che viene oggi universalmente raccontata è quella più “digeribile” da parte di un pubblico non adulto, e venne pubblicata per la prima volta nella raccolta dei Grimm del 1857.

Le differenze fra la 1°a e l’ultima versione

La fiaba del 1812 è profondamente diversa da quella che tutti noi conosciamo. La matrigna è in realtà la madre di Biancaneve, che ha soltanto sette anni, e la vuol fare uccidere per mangiarle fegato e polmoni con sale e pepe. 
Il principe la conosce nella bara di vetro in un momento imprecisato dell’età della ragazza, che viene risvegliata dal veleno della mela non da un bacio dell’uomo, ma dagli strattonamenti dei servi, stanchi di vedere il principe iracondo a causa dell’amore necrofilo per il cadavere della ragazza...

illustrazione di Franz Jüttner

La regina cattiva infine muore uccisa per vendetta da Biancaneve e dal Principe, che la invitano al loro matrimonio e la costringono a indossare delle scarpe di ferro arroventato, che prima le bruciano i piedi e poi la costringono a ballare sino a cadere morta per lo sfinimento.

Biancaneve era Margaretha von Waldeck?
Nel 1994, uno storico tedesco di nome Eckhard Sander pubblicò Schneewittchen: Marchen oder Wahrheit? (Biancaneve: è una fiaba?), sostenendo di aver scoperto la genesi dietro la fiaba dei Grimm. Per Sander il personaggio di Biancaneve si basa sulla vita di Margaretha von Waldeck, una contessa tedesca nata da Filippo IV e dalla prima moglie nel 1533. All’età di 16 anni Margaretha fu stata costretta dalla matrigna, Katharina di Hatzfeld, ad allontanarsi da Wildungen e andare in semi-esilio a Bruxelles.

illustrazione di Franz Jüttner - 1905

Lì Margaretha si innamorò di un principe che sarebbe poi diventato Filippo II di Spagna, contro il volere del padre e della matrigna. La relazione era infatti “politicamente scomoda”, e la ragazza morì misteriosamente a soli 21 anni, a quanto sembra mediante avvelenamento. I resoconti storici indicano come probabile mandante dell’omicidio il Re di Spagna, che si oppose alla storia d’amore fra il figlio e la donna, e che inviò agenti speciali spagnoli ad uccidere la giovane Margaretha.

Gli elementi contenuti nella fiaba sono presenti, in senso lato, anche nella realtà. I sette nani sarebbero i piccoli bambini che erano schiavi di Filippo IV e che lavoravano per lui nelle miniere di rame. Questi non solo erano costretti a fatiche disumane in giovane età, ma ne risultavano poi deformati da adulti perché denutriti o enormemente provati dallo sforzo subito durante l’infanzia.

La mela avvelenata, sempre secondo lo scrittore, sarebbe riconducibile ad un evento storico accaduto in Germania che vide un anziano arrestato per aver dato delle mele avvelenate a dei bambini, colpevoli di aver tentato di rubare la merce dell’uomo.

illustrazione di Franz Jüttner - 1905

Una pista alternativa – Maria Sophia Margaretha Catherina von Erthal

Non tutti sono concordi con la versione raccontata da Sander.

Secondo un gruppo di studiosi di Lohr, in Baviera, Biancaneve si ispira alla vita di Maria Sophia von Erthal, nata il 15 giugno 1725 a Lohr am Main, in Baviera. La ragazza era figlia di un proprietario terriero, il principe Philipp Christoph von Erthal, e di sua moglie, la baronessa Von Bettendorff. 


foto: lo specchio conservato al museo di Spessart

Dopo la morte della baronessa, il principe Philipp sposò Claudia Elisabeth Maria von Venningen, contessa di Reichenstein, che non gradiva la presenza dei figliastri e gli preferiva i figli di primo letto. 

Il castello dove vivevano, che ora è un museo, ospitava un famoso “specchio parlante”, un giocattolo acustico in grado di registrare e riprodurre la voce di chi gli parlava (ora conservato nel Museo Spessart). 

Lo specchio, costruito nel 1720 dall’Industria dello specchio dell’Elettorato di Magonza a Lohr, era un dono del principe alla seconda moglie.


I nani nella storia di Maria sono legati ad una città mineraria, Bieber, situata a ovest di Lohr e nascosta fra sette montagne.

Le gallerie più piccole potevano esser raggiunte solo da minatori molto piccoli, che spesso indossavano cappucci colorati, proprio come sono stati rappresentati i nani nel corso dei secoli. 
Il gruppo di studio di Lohr sostiene che la bara di vetro possa esser collegata alle famose vetrerie della regione mentre la mela avvelenata possa esser associata con il veleno belladonna che cresce copioso nei pressi del castello.

illustrazione di Franz Jüttner, 1905

La matrigna di Maria Sophia Margaretha costrinse la ragazza a fuggire di casa, rendendola nei fatti una vagabonda. La ragazza visse alcuni anni nei boschi limitrofi alla magione, aiutata dai piccoli minatori che lavoravano nelle miniere del padre, e morendo infine di vaiolo.

L’avversione del volgo nei confronti della perfida Claudia Elisabeth Maria von Venningen rese la giovane ragazza una martire, morta per l’odio che la donna provava nei confronti della sua fulgida bellezza.

Conclusioni

La fiaba di Biancaneve è certamente ispirata ad alcuni fatti reali accaduti nella zona della Germania nei secoli precedenti alla sua stesura.
Particolarmente notevole è come gli “aiutanti magici” (in questo caso i sette nani), siano identificati quasi con certezza nei piccoli lavoratori delle miniere tedesche del XVII e XVIII secolo.

La storia potrebbe essere, con ogni probabilità, frutto di una commistione di elementi e leggende, prese da storie reali accadute a persone diverse e condensate in un’unica fiaba.


fonte: crepanelmuro.blogspot.it

olocausti dimenticati

Strano questo olocausto non lo ricorda nessuno




' NON LO RICORDA NESSUNO', non significa che non ci siano stati registi, scrittori, storici e rarissimi politici, che coraggiosamente non abbiano testimoniato:
- il genocidio di milioni di pellerossa, purtroppo non ultima, tappa del lungo Olocausto d' Oltreoceano (iniziato con le spedizioni di Colombo di fine 1400) con lo sterminio, dai 50 agli oltre 100 milioni, di indiani d'America, indios e amerindi;
- il genocidio degli aborigeni australiani;
- il genocidio (maafa) di 10 milioni di africani uccisi nel commercio degli schiavi;
- il genocidio degli armeni;
- il genocidio ancora in atto, degli indios e dei palestinesi ...
significa 'solo' che, in Italia 'LA GIORNATA DELLA MEMORIA CORTA' non li ricorda; .. perchè loro non hanno una lobby sionista alle spalle, al governo di grandi banche, società multinazionali e dei maggiori media mondiali, ... perciò non dirigono università, giornali, televisioni, ospedali, partiti o logge massoniche, e non sono in grado di ottenere una giornata che ricordi e celebri anche il loro genocidio.
fonte Fernando Rossi
fonte: alfredodecclesia.blogspot.it

28/01/16

microchip negli umani: dalla fantascienza alla realtà




di Gianni Lannes

Ecco cosa ci riserva l'imminente futuro sotto il pretesto della sicurezza: l'inserimento di un oggetto elettronico estraneo nel proprio corpo. Si tratta di un circuito integrato biocompatibile applicato nel tessuto sottocutaneo, controllato da un computer centrale in un sistema di localizzazione satellitare. Ha le dimensioni inferiori ad un chicco di riso ed è dotato di una scheda tecnica con tutti i dati individuali. Le applicazioni a livello sociale saranno graduali: dalla tessera sanitaria alla carta d'identità, mentre in Occidente il controllo elettronico dei dati sensibili di ogni individuo è già in atto. 


Sul più autorevole quotidiano italiano, ossia Il Corriere della Sera (15 febbraio 2015) si legge:

«Macché badge: l’azienda che innesta un microchip ai dipendenti. Inserito tra pollice e indice, serve per aprire porte, fotocopiare documenti o pagare il caffè al bar. E’ impiantato su base volontaria». E ancora sul Corsera del 18 luglio 2014:
«Microchip nel corpo Una frontiera insidiosa Sperimentazioni del Pentagono: si allarga il rischio di manipolazioni. Microchip nel corpo Una frontiera insidiosa».

Il 26 agosto 2014 Barack Obama ha annunciato 19 nuovi provvedimenti per migliorare i programmi di tutela e cura della salute mentale dei soldati e dei veterani dell’esercito americano. Tra i diversi punti, che prevedono tra le altre cose l’estensione degli investimenti per la prevenzione dei suicidi tra i militari, è stato presentato un programma di ricerca che durerà cinque anni – e per cui sono stati stanziati fondi per 78,9 milioni di dollari – per «sviluppare nuove neurotecnologie mini-invasive che aumenteranno la capacità del corpo umano e del cervello di indurre la guarigione».

Il progetto si chiama ElectRx, ed è condotto dalla Defense Advanced Research Projects Agency (DARPA), un’agenzia del Pentagono che sviluppa tecnologie all’avanguardia per l’esercito USA. 

Il Washington Post ha spiegato che gli Stati Uniti stanno cercando di produrre dei chip che intervengano sul sistema nervoso, per aiutare i soldati a guarire più velocemente da diversi tipi di malattie, dall’artrite al disturbo post-traumatico da stress (PTSD), sfruttando biosensori e componenti elettromagnetici che controllino gli organi. Alcuni ricercatori del DARPA hanno detto che questi nuovi chip saranno “ultraminiaturizzati”, e progettati per essere impiantati con un ago o con altri metodi meno invasivi.

La ricerca fa parte della “Brain Initiative”, un programma voluto dal governo di Washington per «rivoluzionare la nostra conoscenza del cervello umano», per sviluppare nuove neurotecnologie e per cercare di mappare il cervello. Già lo scorso maggio il DARPA aveva annunciato di volere costruire piccoli chip da impiantare nel cranio di chi soffre di PTSD e altri disturbi psichiatrici, per facilitarne la guarigione. Al progetto, chiamato Systems-Based Neurotechnology for Emerging Therapies (SUBNETS), stanno lavorando ricercatori dell’università della California, di San Francisco e del Massachusetts General Hospital di Boston. È pensato soprattutto per i veterani di guerra, e consiste nel trovare il modo di creare una tecnologia in grado di insegnare al cervello a rimuovere gli schemi mentali che causano il disturbo. I ricercatori del DARPA avevano spiegato che il programma si basa sulla stimolazione cerebrale profonda, un trattamento utilizzato per curare alcuni casi di morbo di Parkinson.  

Doug Weber, il coordinatore del programma ElectRx, ha paragonato i chip che stanno sviluppando a dei piccoli pacemaker “intelligenti”, che «valuteranno continuamente le condizioni del paziente e forniranno stimoli studiati per aiutare a mantenere un corretto funzionamento degli organi, aiutandolo a guarire e a restare in salute utilizzando il loro stesso corpo.» Il sistema nervoso periferico monitora costantemente le condizioni degli organi del corpo umano, aiutando a regolarne le reazioni biologiche a infezioni e ferite. Se questo processo di regolazione è alterato da una lesione o da una malattia, può succedere che i segnali inviati dal sistema nervoso periferico aumentino i sintomi di una patologia, provocando dolori, infiammazioni o disfunzioni immunitarie. I ricercatori del DARPA ritengono quindi che certi problemi di salute possano essere curati con più efficacia agendo con delle precise modulazioni sul sistema nervoso periferico, e che questo metodo possa funzionare meglio rispetto a quelli più convenzionali.

riferimenti:
























fonte: sulatestagiannilannes.blogspot.it

il vero potere ha vinto, straziante

Leggete ATTENTAMENTE questa mail sotto. Chi scrive sa cosa dice. Tragicamente. PB..

Salve Paolo, mi chiamo F., sono uno statistico finanziario che ha lavorato nelle banche e vivo in Olanda ormai da diversi anni. Volevo scriverti una mia personale opinione sul Vero Potere, e del perché secondo me nel mondo occidentale è diventato praticamente indistruttibile.
La cosa che secondo me è ancora più tragica è il fatto che il Vero Potere, in un certo senso, ci rende la vita più ‘facile’ e ‘confortevole’.
Da quando ho iniziato a capire il Vero Potere la mia vita effettivamente è cambiata, ma in peggio. La ‘colpa’ è in gran parte tua. Se quella sera non avessi guardato un video di una tua conferenza dal titolo "Come l'Euro distrugge l'Italia" probabilmente oggi sarei una persona più felice e socievole… 
… la cosa di cui ho sempre avuto più premura è stata il bisogno di comunicare questa conoscenza alle altre persone intorno a me. 
La prima volta che ho cercato di diffondere la situazione dell'Eurozona nella banca è stato subito dopo avere visto il video sopraccitato della tua conferenza... beh forse ho ricevuto 5 risposte di cui solo 4 veramente valide (4 su 40).
Ma le frustrazioni più grandi sono arrivate quando ho tentato di coinvolgere i colleghi professionali della banca. Lì ho definitivamente capito che non c'è speranza…
 … mi aspettavo reazioni piuttosto forti visto e considerato che integrare queste tue informazioni nei nostri modelli di rischio di credito sarebbe stato fondamentale. Purtroppo anche in questo caso niente, apatia totale, a parte un paio di risposte che non sono servite a niente…
… ma non ci sono molte speranze, e infatti ancora oggi nelle nostre banche olandesi vengono costruiti modelli di rischio che seguono una concezione dell'economia di 30 anni fa. (con conseguenze disastrose per i cittadini, nota di PB)
I miei colleghi sono tutte persone estremamente competenti (almeno in campo finanziario) e… l'unica cosa che ho diffuso è stata l'idea che io sono una persona strana che va blaterando in giro teorie senza senso.
Questi che ho scritto sopra sono solo alcuni esempi di quello che ho provato a fare all'interno della banca in cui lavoro… questa apatia mi terrorizza.
Aggiungo: come si può rimanere indifferenti dopo avere letto e visto cosa succede in Palestina, io stavo male da fare schifo, più di una volta mi è venuto da piangere, e loro niente. Tutt'ora sto male quando mio figlio di un anno e mezzo piange, perché la cosa che viene subito in mente sono quei bambini che piangono dal terrore o dal dolore in Palestina…
… e a me è bastata una telefonata per rovinarmi la vita: mio padre, che a fatica riusciva a parlare, che mi chiedeva un aiuto economico per poter pagare una cartella esattoriale.
E qui mi voglio ricollegare a quanto detto all'inizio riguardo a come il Vero Potere in fin dei conti ci rende la vita più ‘confortevole’ (ai 2/3 dei viventi, gli altri crepino, nota di PB). Io che mi sforzo di capire e conoscere il Vero Potere sono diventato una persona asociale, ho perso amici, vivo ogni giorno nel terrore di quello che può accadere domani…
Quelli a cui di capire il Vero Potere non gliene fotte niente, vivono una vita tutto sommato felice e spensierata. (sempre i 2/3 dei viventi, gli altri crepino, nota di PB)  
Mi dispiace dirlo ma io vedo pochissime vie di uscita da questo tipo di società, il Vero Potere ha creato una situazione di falsa felicità cosi ben studiata che è quasi impossibile da distruggere, capire, e magari combattere…
… Paolo, se non mi fossi mai interessato a capire se quel personaggio che attaccava l'Eurozona avesse ragione o meno, probabilmente oggi sarei più ignorante, ma più felice. 
Saluti F.

DA UN INSIDER BANCARIO OLANDESE
http://www.paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=1390
http://altrarealta.blogspot.it/

15/01/16

la Piazza Ducale, detta del Duomo, in Vigevano, e i suoi restauri


Alessandro Colombo, aprile 1902, in “L’ARTE – periodico di storia dell’arte medioevale e moderna e d’arte decorativa” diretto da Adolfo Venturi – Anno V – 1902, Roma DANESI – HOEPLI, Coeditori. pag. 248
Ludovico Maria Sforza-Visconti, luogotenente generale del Ducato di Milano, volendo abbellire il paese che vide i suoi natali e per il quale nutriva intenso affetto, in pari tempo che imprendeva a rifarne artisticamente il Castello, dotandolo di uno spazioso e comodo palazzo per sua abitazione, di ampie stalle per i suoi cavalli e di alloggi numerosi per il suo seguito, non trascurava il resto del borgo, al Castello stesso addossato, cui voleva completamente rifare e risanare con strade larghe e dritte, con abitazioni comode e soleggiate. Questo concetto, che cercherò di sviluppare ampiamente un giorno, dettando una monografia speciale sull’Età del Moro a Vigevano, si palesa chiaramente, oltre che nei molti edifici quattrocentistici, sparsi qua e là in Vigevano, nella bellissima piazza Ducale, detta comunemente del Duomo, perché su uno de’ suoi lati si trovava e si trova tutt’ora la chiesa principale, poscia cattedrale, eretta in onore del patrono del borgo, sant’Ambrogio.
E’ facile seguire la storia della fondazione della piazza compulsando i documenti d’archivio. Riservandomi di parlarne diffusamente più tardi, spero, in questa stessa Rivista, credo per ora opportuno darne un sunto, tanto per far conoscere ai lettori l’importante monumento che, per munifica disposizione testamentaria d’un egregio cittadino vigevanese, Giorgio Silva, sta per ritornare al primitivo onore.
Il primo accenno alla costruzione della piazza si trova nel vol.II de’ Convocati del Consiglio de’ XII Sapienti(1), seduta del 28 aprile 1492. Ivi è detto che l’illustrissimo signor Ludovico vuole che sia misurato esattamente “terrenum apotecharum et domorum, que prosternuntur in platea”, e il Consiglio sopracitato elegge a ciò Melchiorre de’ Poesii, Guidetto de’ Giudici e Cristoforo de’ Silva: i consoli in carica, Leonardo Collo e Gerolamo Fantoni, e i signori Ambrogio de’ Gravarona e Giovanni de’ Bosii, appartenenti al Consiglio, sono nella stessa seduta chiamati a soprastare a’ lavori.
Ma più chiaramente si appalesa l’idea del Moro nella lettera del 3 maggio 1492, data a Vigevano e firmata dal Duca Gian Galeazzo Maria, ma senza dubbio inspirata e voluta dallo zio, in realtà il vero signore di Milano. Di tale lettera esiste copia sincrona autentica in un volume cartaceo dell’archivio civico vigevanese dal titolo Registrum litterarum ducalium, volume I, al fol. II V.
Eccone il sunto.
Essendo innanzitutto necessario, per adornare il borgo di Vigevano (allora non era ancora città), costrurre nel mezzo di esso una piazza, “in medio ipso loco plateam extollere”, la quale risponda all’importanza del borgo, data dalla continua dimora della Corte Ducale, “per aule nostre continuam habitacionem”, nonché a’ bisogni degli abitanti, il Duca di Milano, cioè il Moro, incarica Ambrogio da Corte, maestro generale Aule nostre, di prendere tutti i provvedimenti del caso, sia per abbattere case e spianare il terreno, sia per costruire i nuovi edifici necessari “ad platee ornatum” E la piazza dev’essere a portici, e l’abbellimento deve anche estendersi alle vie e alle case limitrofe; il tutto poi dev’essere eseguito secondo un disegno prestabilito. La direzione de’ lavori, come s’è detto, è affidata all’ingegnere da Corte, il quale ha anzi piena facoltà di procedere alla espropiazione dei fabbricati e di punire quelli che osassero opporsi ai suoi ordini od anco semplicemente trascurarli. E perché il lavoro, una volta cominciato, proceda spedito, il prelodato ingegnere può nominarsi uno o più aiutanti, che lo sostituiscano nelle sue assenze.
Lo stesso giorno 3 di maggio, adunatosi il Consiglio de’ XII, dietro richiesta del Moro, veniva deputato un tal Rosso de Ardicii fu Filippo a tenere i conti “tocius calcine, que conducetur jn Vigleuano pro apotecis et edificijs que fierint super platea” Come si vede, i lavori furono subito iniziati.
Ma il guaio più grosso consisteva sempre nella espropriazione delle case vecchie, occupanti l’area della erigenda piazza; laonde fu necessario un provvedimento eccezionale, date le non poche proteste degl’interessati; e il Duca, intendi sempre il Moro, con sua lettera data a Vigevano il 5 maggio (2) mentre rimetteva al Comune, a suo beneplacito, le entrate dl 1493 e degli anni seguenti, volle che quelle del primo anno, cioè del 1493, fossero concesse “a lo Egregio Ambrosio de corte suo maestro de caxa universale, Et per luy distribuite alli damnificati, gitati ad fare la piaza et cussi li portici per li ornamenti de la terra”, indennizzandoli in tal modo “per questo anno….secundo la limitatione et discrecione de esso Ambrosio”.
Così si poterono incominciare i lavori; i quali condotti innanzi vigorosamente, furono ultimati entro il termine di due anni circa. Non pare, però, che la promessa contenuta nella lettera del 5 maggio sia stata pienamente osservata: quindi nuove proteste da parte del Comune vigevanese, richiesta di revisione della sentenza “latta de la piaza nova de Vigeuano per il Magnifico Maestro Ambrosio da Corte” (3) lesiva alla comunità stessa, e conseguente concessione, da parte del Moro, allora Duca di Milano, per tacitarla, della perpetua esenzione dalla tassa de’ cavalli. (4). Un documento poi del 1542 (5) mentre ci fa conoscere l’area precisa espropriata (12 pertiche, 22 tavole, 6 piedi) e il prezzo valutato per ogni pertica (100 fiorini), ci dice che tale somma fu dal Comune sborsata “illis particularibus personis, quorum erant dicte Domus”.
Appena cominciata la costruzione della Piazza, fu abbattuta l’antica abitazione del Podestà, nella quale si trovava eziandio il palazzo comunale; e, dietro ordine del Moro che vi concorse per un anno con la somma di mille ducati, (6) un nuovo e più ampio palazzo fu eretto prospiciente la nuova piazza, nel luogo ove ancor presentemente si trova, sebbene in proporzioni più modeste. In diverse riprese, il suolo della piazza fu spianato e sgomberato de’ vari rottami (7); non risulta che sia stato selciato co’ ciottoli, ma ce lo fa dubitare la venuta a Vigevano di non pochi “ magistri ad solandum stratas”, (8) sebbene essa risalga ad epoca relativamente troppo vicina all’inizio dei lavori della piazza. Lungi da questa, poi, furono portate le beccherie (9) e ogni altro negozio, che non fosse meno che decente; solo fu permesso utilizzarne l’area per il mercato quotidiano (piccolo) e settimanale (grande) (10). Il fatto che il 12 settembre 1494 fu proclamato l’appalto del nuovo plateatico, “Forma incantus plathee Noue communitas Vigleuani, ecc.” dimostra chiaramente che la piazza era allora ormai finita e servibile; l’accenno alle volte del palazzo (porticato), da imbiancarsi, e a tre stemmi da dipingersi sulla facciata anteriore del medesimo, (11) prova eziandio che la decorazione era condotta a buon punto, se non da molto incominciata, nel luglio 1494. Ma v’ha di più. La monca iscrizione DVX – BARRI, che si vede sull’antico portone, ora distrutto, a cavaliere delle vie Mercanti e Beccherie, attesta a sufficienza che la parte decorativa della piazza doveva essere ultimata nell’ottobre 1494, dopo il quale il Moro, morto il suo nipote, si fece proclamare Dux Mediolani.
Ed ora, due parole sulla primitiva decorazione della piazza. Ricordo subito che vari deturpamenti furono ad essa arrecati dai posteri, non molto intelligenti in fatto d’arte; ma i più gravi furono compiuti dal 15° vescovo di Vigevano, Giovanni Caramuele Lobkowitz nel 1681, e dai reggitori del Comune nel 1757. La prima volta, tolta alla piazza quella varietà, che pur la rendeva simpatica, fu dipinta a tinta cenerognola con ornati in gialo all’arcate e alle finestre, quasi ad imitare la nuova facciata del Duomo, opera dello stesso vescovo; la seconda volta fu imbiancata con calce e ornata con una fascia rossiccia e cornici dello stesso colore delle finestre. Nel 1850, infine, si tentò di abbattere completamente la piazza antica, per costruirne una nuova e coi fabbricati più alti: non se ne fece nulla, forse per mancanza di denari, quantunque il progetto di massima e il preventivo della spesa fossero stati preparati, come si possono tuttora ammirare fra le carte dell’archivio!
0.
Ritornando alla decorazione originaria, noto che essa risulta dall’accoppiamento della policromia col monocromato. Policrome sono le due fascie, la inferiore, più piccola, e la superiore, più grande, e nella quale si trovano incastrati, a mo’ di altrettanti rosoni, gli ovali; policroma è eziando la cornice che gira attorno ad ogni arcata. Gli ornati contenuti nei triangoletti intermedi, al di sopra dei singoli capitelli delle colonne, sembrano essere puramente grafiti a chiaroscuro: nel mezzo di essi, a mo’ di metopa, campeggia un piattello, su cui è dipinto a fresco un ritratto o qualche impresa. Pure grafiti monocromi sono le cornici quadrangolari delle singole finestre ad arco tondo; e forse anche il cornicione sovrastante la fascia o cordone superiore, e sul quale fingono di poggiare le varie mensole sagomate, messe a sostegno delle travi della grondaia. Lo spazio compreso tra ogni mensola è pure decorato a vasi e a piatti; quello, invece, che sta due finestre successive del piano nobile, una specie di pavimento a margherite gialle alternate con stelloni azzurri, dev’essere posteriore; originariamente doveva essere in bianco, se non altro, per far maggiormente risaltare la decorazione delle finestre ad arco tondo.(12)
Ho detto che il vescovo Caramuele tolse alla piazza quella varietà, che, non senza motivo, aveva voluta il suo ideatore. E qui pongo innanzi, timidamente, il nome di Bramante. E valga il vero. Allato che volge a sud, dove incominciano le vie Mercanti (ora Principe Amedeo) e Beccherie (ora Merula), si ammirava un superbo portone, fatto a mo’ degli antichi archi trionfali; ivi appunto si trova la già citata iscrizione DUX-BARRI; e la ricostruzione del medesimo è così facile, che propongo caldamente la si faccia senz’altro. Ecco una prima interruzione della linea generale della piazza. Una seconda interruzione si aveva là, ove sbocca la via del Popolo; una terza, infine, sul lato prospiciente il nord, di fronte al sopraddetto portone; quivi una grande scalinata in pietra viva e una rampa davano accesso al castello, sotto la torre bramantesca, e quivi il lato occidentale della piazza andava a toccare il muraglione del castello stesso. Ad oriente, al posto dell’attuale facciata del Duomo, non v’era porticato, ma si vedevano varie case, e, in fondo, la chiesa di Sant’Ambrogio, con la sua vecchia facciata verso via Bergonzone (ora Carlo Alberto). Che intendesse ivi di fare il Moro, non si sa; certo, se l’ambizione politica non l’avesse rovinato, atterrata la vecchia chiesa con le casupole circostanti, una nuova e più ampia ne avrebbe costrutta, completamente isolata e con la sua fronte verso la piazza.
                               Vigevano, aprile 1902
Alessandro Colombo
00
A completamento di questi interessanti cenni dell’egregio dott. Colombo – al quale auguro la ventura di rintracciare larga messe di dati negli archivi del suo paese ed in quelli di Milano, per ricostruire in modo documentale la storia della Piazza Ducale – mi è grato presentare ai lettori de L’Arte la fotografia del rilievo che fu eseguito per ordine del sindaco di Vigevano e sotto la sorveglianza di una commissione locale. Essa ci permette, assai più che le debolissime fotografie ricavate dagli originali, di apprendere il disegno originale di questa decorazione, che però, come è detto nelle pagine del Colombo, non è tutta uniforme, ma presenta quelle varianti che la rendevano in origine più vivace e gradevole.
Questa mirabile decorazione murale, purtroppo guasta dall’umido clima della Lomellina e dai susseguenti ristauri, costituisce un esempio grandioso e abbastanza raro perché meriti uno studio diligente ed accurate indagini, non solo per conoscerne l’autore, ma anche per conservarne le poche parti rimaste e trarre gli elementi per la riproduzione.
La decorazione accompagna ed accentua la struttura architettonica degli edifici; sulle colonne del portico, sormontate da capitelli gentili, girano le arcate leggiere, a tutto sesto, coronate da palmette ricorrenti, separate una dall’altra da medaglioncini con imagini o figure.
Corre al di sopra, a dividere il piano del portico dal piano superiore, una larga fascia racchiusa da due cornici, con un delicato intreccio di testine d’angeli e di vasi sormontati da palmette. Le finestre che danno luce al piano principale, inquadrate in una cornice rettangolare, sono sormontate da archi a tutto sesto, poggianti su pilastrini e ornati, come quelli del porticato, da palmette, e l’una dall’altra disgiunta da colonnine elegantissime a candelabre, che richiamano preclari esempi d’arte lombarda contemporanea, e massime quelli delle finestre nella facciata della Certosa. Gli intervalli tra finestra e finestra sono avvivati da una ricca decorazione a croci e borchie intrecciate da tenie, assai semplice ed elegante. Corre aldi sopra la fascia superiore, nella quale si aprono gli occhi o finestre circolari del piano superiore, di cui le cornici sono bellamente innestate nel concetto decorativo, facendole in parte toccare dalle figure di centauresse chimeriche, le quali, unitamente ai puttini cavalcanti gli struzzi e da mostri chimerici appoggiati a grandi cantari fioriti, corrono lungo la bella e ricca fascia, in qualche punto conservatissima con vivi colori sul fondo oltremare.
L’altra figura rappresenta i residui di quella decorazione che il Colombo suppone una specie d’arco trionfale adducente verso il castello. La struttura architettonica, col potente cornicione reggente sui pilastri, sormontato da attico, ci dà realmente l’idea di un arco trionfale; si aggiunga anche la traccia dell’iscrizione accennante al titolo assunto da Lodovico il Moro: DUX-BARRI, unita ad una delle sue imprese, il leone a lungo berretto, reggenti la pertica coi due secchi ed il motto audace ich hof, io spero, che rivela l’animo dell’astuto ed ambizioso duca di Milano.
Spero anch’io che ulteriori studi portino a conoscere meglio questa bella decorazione, della quale sino a questo momento ignoriamo l’autore. Chi sia stato il collaboratore dell’ingegnere ducale Ambrogio da Corte, non ci è detto dai documenti amorosamente ricercati dal Colombo, il quale non isfugge dalla tentazione di cavar fuori il magico nome del Bramante. Ed invero esso non ci è soltanto suggerito dal fatto accertato della presenza dell’operoso maestro, che in quel torno di tempo prodigava l’immensa attività sua come in varie città lombarde, anche a Vigevano e nella vicina Abbiategrasso, ma dai caratteri stessi della decorazione, nella quale noi vediamo un innegabile influsso bramantesco, temperato però da quel carattere speciale, lussuoso, sovrabbondante di decorazione, che l’architettura del Rinascimento assunse nella terra lombarda. Nella linea sobria ed elegante delle arcate, accentuate dalla corona di palmette, nel disegno corretto dei capitelli, noi sentiamo il riflesso dello stile della Canonica di Sant’Ambrogio, disegnata dal Bramante, come pure una famigliarità coi concetti architettonici noi ravvisiamo nel residuo della decorazione dell’arco trionfale. Il pittore decoratore o consigliato o sorretto dall’esempio e dalla guida del grande architetto, mostra di aver conservato però libertà d’azione, prodigando sulla sua facciata una gradita copia di elementi decorativi, preoccupato non solo di sfuggire l’impressione di vuoto, ma anche dello scopo che tante volte fuorviò dalla retta via i decoratori lombardi del Rinascimento, di colpire lo spettatore con un lusso di particolari e di elementi decorativi e con lo sfarzo del colore, ottenendo cos’ un effetto smagliante e piacevole che il restauro dovrà ridestare al nostro sguardo.
Quell’ignorato maestro appare anche molto più padrone della decorazione che della figura, la quale però, anche nei particolari remoti, è sempre corretta e leggiadra.
Chiudo questi brevi cenni con un voto; che l’ufficio regionale del Piemonte, secondando i desideri della cittadinanza, possa restituire agli edifici della Piazza l’aspetto e la decorazione che essi ebbero, per volere di principe, nella fine del Quattrocento, riproducendo innanzi agli occhi un esempio insigne di un ambiente popolare, abbellito tutto quanto dal delicato sorriso dell’arte.
Antonio Taramell
Note originali
1) I dodici Sapienti (o Presidenti), scelti dal Consiglio Maggiore (o Generale) composto di 60 membri e durante in carica un anno, formavano il così detto Consiglio Minore; una specie di Giunta Comunaleodierna. Da essi si sceglievano i due Consoli e, come questi, restavano in carica tre mesi. Si radunavano ogniqualvolta dovevano dar corso ad apposite ordinanze del Consiglio Generale, e ad esse potevano portare quelle modificazioni che ritenevano del caso. Cif. il mio lavoro Bianca Visconti di Savoia e la sua signoria di Vigevano, in Bollettino della Società Pavese di Storia Patria, anno 1 (1901), fasc. III, pag. 297-8.
2) Arch. comun. di Vigevano. Reg. litt. ducal., I f. 12.
3) Arch. comun. di Vigevano, cas. 121, cart. 76, fasc. 5
4) Arch. comun. di Vigevano, Simone del Pozzo, Estimo f. 511 v. e f. 515 e seguenti (ms.) Cfr. per questo anche il mio lavoro La fondazione della villa Sforzesca secondo Simone del Pozzo e i documenti dell’Archivio Vigevanasco, in Bollettino Storico-Bibliografico Subalpino, anno VII (1902), capitolo V.
5) Arch. comun. di Vigevano. op. cit., f.515 v.; e il mio lavoro: La fondazione della villa sforzesca, ecc. ibid. docum. XXIV.
6) Arch. comun. di Vigevano. Convocati del Consiglio de’ XII Sapienti, II, Seduta 24 luglio 1492 – Cif. il mio lavoro L’alloggio del Podestà di Vigevano e il Palazzo del Comune nel secolo XV, pag. 30, n. 20 Mortara-Vigevano, tip. Cortellezzi 1901
7) Arch. comun. di Vigevano. Convocati cit. passim.8) Arch. comun. di Vigevano. cit. Seduta 5 luglio 1492.
9) Arch. comun. di Vigevano. Convocati cit. Seduta 29 maggio 1492.
10) Arch. comun. di Vigevano. Incanti, II f. 89 (12 sett. 1494) e f. 95 (1° marzo 1495) – Sul mercato di Vigevano, cif. il citato mio lavoro Bianca Visconti di Savoia, ecc. pag. 305-8.
11) Arch. comun. di Vigevano. Convocati cit. Seduta 20 giugno e 21 luglio 1494

Note mie

12) In questo passaggio il Colombo si sbaglia. In realtà è originale quattrocentesco anche questo motivo decorativo che si ripete costante tra le finte colonne delle aperture. Lo attesta il recupero e restauro da noi eseguito (Restauri Nicora) sulla porzione di affresco originale all’interno dell’immobile di Piazza Ducale al n. 24.

fonte: passionarte.wordpress.com

09/01/16

mentre il corpo c'è, e c'è, e c'è


TORTURE
Wislawa Szymborska

Nulla è cambiato.
Il corpo prova dolore,
deve mangiare e respirare e dormire,
ha la pelle sottile, e subito sotto – sangue,
ha una buona scorta di denti e di unghie,
le ossa fragili, le giunture stirabili.
Nelle torture, di tutto ciò si tiene conto.

Nulla è cambiato.
Il corpo trema, come tremava
prima e dopo la fondazione di Roma,
nel ventesimo secolo prima e dopo Cristo,
le torture c’erano, e ci sono, solo la terra è più piccola
e qualunque cosa accada, è come dietro la porta.

Nulla è cambiato.
C’è soltanto più gente,
alle vecchie colpe se ne sono aggiunte di nuove,
reali, fittizie, temporanee e inesistenti,
ma il grido con cui il corpo ne risponde
era, è e sarà un grido di innocenza,
secondo un registro e una scala eterni.

Nulla è cambiato.
Tranne forse i modi, le cerimonie, le danze.
Il gesto delle mani che proteggono il capo
è rimasto però lo stesso.
Il corpo si torce, si dimena e divincola,
fiaccato cade, raggomitola le ginocchia,
illividisce, si gonfia, sbava e sanguina.

Nulla è cambiato.
Tranne il corso dei fiumi,
la linea dei boschi, del litorale, di deserti e ghiacciai.
Tra questi paesaggi l’animula vaga,
sparisce, ritorna, si avvicina, si allontana,
a se stessa estranea, inafferrabile,
ora certa, ora incerta della propria esistenza,
e il corpo c'è c'è c'è,
e non trova riparo.

http://www.radio.rai.it/podcast/A42414092.mp3

in polacco tortura suona come in italiano.
e il corpo c'è c'è c'è,
podczas gdy ciało jest i jest i jest.
la tortura, oltre a quella cui si riferisce la Szymborska, è, molto di più molto di meno, quello che infligge l'anoressia al corpo.
ma anche la SLA o il diabete.
le unghie scarnificate, i capelli massacrati da gesti ossessivi.
e il corpo c'è e c'è e c'è,
podczas gdy ciało jest i jest i jest.
la tortura è quello che rimane dopo il Bataclan, gente trivellata per terra, sangue, la faccia immersa nel sangue, la postura immobile con il cuore a mille accovacciati dietro un muro per non morire. non respiro, non deglutisco, non emetto suoni, non faccio nè la cacca nè la pipì, mai sentito il corpo così.
e il corpo c'è e c'è e c'è,
podczas gdy ciało jest i jest i jest.
memoria indelebile del corpo nell'attesa di quel momento, un eccesso, un oltre, un indicibile, un'impronta che non si può né si vuole dimenticare. come sarà il corpo da morto? come devo mettermi per morire? dopo, il mio corpo sarà osceno?
e il corpo c'è e c'è e c'è,
e non trova riparo.
corpo consistenza del parlessere, l'incoscio è come Baltimora all'alba.

fonte: nuovateoria.blogspot.it

06/01/16

Licio Gelli

quell’intervista clamorosa al Fatto “I mentori politici di Renzi vivono a Washington”


Morte Gelli, quell’intervista clamorosa al Fatto <br> “I mentori politici di Renzi vivono a Washington”

La morte di Licio Gelli è la notizia del giorno. Riproponiamo una intervista che il Venerabile concesse al Fatto Quotidiano nel maggio 2014, particolarmente interessante.
Marco Dolcetta per “Il Fatto Quotidiano” del 23 maggio 2014

Di questi tempi sia la schiena che il cuore stanno dando qualche problema a Licio Gelli. Il 96enne Venerabile della Loggia P2, nonostante la voce affaticata, mantiene una certa energia verbale: “Lei deve sapere che sono entrato nei Servizi di intelligence dello Stato italiano dopo un incontro con Mussolini che voleva conoscermi. Io, il volontario ‘Licio Gommina’ della guerra civile di Spagna, nella quale aveva perso la vita mio fratello. Il Duce mi chiese quale poteva essere la ricompensa che lo Stato italiano poteva dare alla mia famiglia. In quella occasione, gli dissi che senz’altro mi sarebbe interessato conoscere il mondo dei Servizi segreti… Da allora non ne sono più uscito”.
Ma che ne pensa dell’attualità italiana e di Renzi?
Renzi è un bambinone, visto il suo comportamento che è pieno di parole e molto ridotto nei fatti: non è destinato a durare a lungo… Comunque, non è mai stato (né lui né i suoi familiari) nella massoneria. Vedo che nel suo governo ci sono molte giovani donne che io personalmente vedrei molto meglio a occuparsi d’altro…”.
Lei con la Svizzera ha un rapporto particolare, conosce bene le galere ma anche le banche di quel Paese…

Sì, soprattutto quando mi sono stati sottratti dai giudici milanesi diversi milioni di franchi che risultavano il frutto lecito di mia mediazione internazionale e che furono destinati a risarcire piccoli azionisti del Banco Ambrosiano dopo le note vicende che mi videro ingiustamente coinvolto. Ma nonostante tutto, ho accettato questo risarcimento forzato. La cosa più sorprendente, però, è che quei soldi non sono stati mai destinati a piccoli azionisti, tanto che da tempo io, assieme al loro legale, l’avvocato Gianfranco Lenzini di Milano, ho presentato richiesta di chiarimenti in tutte le sedi, ma senza alcun risultato”.

Come spiega il caso Renzi, la sua veloce ascesa, e cosa prevede per il futuro?

Beh, Renzi è un fenomeno parzialmente italiano, e mi risulta che fra i suoi mentori politici ci siano persone che vivono a Washington. È circondato, però, da mezze tacche: gli ex lacchè di Berlusconi. Fini, che ho conosciuto bene, quando faceva l’attendente ossequioso di Giorgio Almirante cui prestavo denari per il Msi. Soldi sempre resi… quello sì che era uomo di parola. E poi Schifani, Alfano: personaggi non certo di livello. Berlusconi ha sbagliato con le giovani donne, ma soprattutto circondandosi di personaggi di bassa levatura… Penso a Verdini, un mediocre uomo di finanza; è un massone… credo, ma non della nostra squadra. Il più alto livello di maturità politica in Italia c’è stato con Cossiga e Andreotti che avevano entrambi dei sistemi di controllo politico, uno con ‘Gladio’ e l’altro con ‘Anello’, cosa che Berlusconi non è mai riuscito a ripetere. E si sono visti i risultati di questa sua incapacità…”.

Per concludere, che ne pensa dell’Italia, e del suo futuro?

Non le nascondo che vedo, con una certa soddisfazione, il popolo soffrire. Non mi fraintenda: non sono felice di questa situazione. Sono felice, invece, che vengano sempre più a galla le responsabilità della cattiva politica. Perché, probabilmente, solo un tributo di sangue potrà dare una svolta, diciamo pure rivoluzionaria, a questa povera Italia”.

http://www.italiaora.net/morte-gelli-quellintervista-clamorosa-al-fatto-i-mentori-politici-di-renzi-vivono-a-washington/
fonte: alfredodecclesia.blogspot.it

il costo umano dei pesticidi. Le foto di Pablo Ernesto Piovano in un video documentario

El Costo Humano (Agrotóxicos) - por Pablo Ernesto Piovano




Articolo di: redazione Informasalus

Quali sono gli effetti della diffusione delle colture geneticamente modificate in Argentina? Lo mostra il fotografo Pablo Ernesto Piovano nel reportage El costo humano de los agrotóxicos, il costo umano dei pesticidi che documenta la condizione della popolazione del suo paese che lavora o vive nei pressi dei campi coltivati a soia ogm dove si vengono usate dosi massicce di diserbanti. 

Le foto rappresentano una denuncia alla multinazionale Monsanto, responsabile della coltivazione di soia geneticamente modificata abbinata all’utilizzo del diserbante Roundup  che contiene glifosato. 

Nel 1996 il governo argentino ha approvato la coltivazione e la commercializzazione di soia transgenica e l’uso del glifosato senza condurre alcuna indagine interna, ma basando la sua decisione esclusivamente sulle ricerche pubblicate dalla Monsanto. La terra coltivata a ogm è arrivata a coprire il 60 per cento del totale e solo nel 2012 sono stati spruzzati 370 milioni di litri di pesticidi tossici su 21 milioni di ettari di terreno. 

In quelle terre nel giro di dieci anni i casi di cancro nei bambini sono triplicati, mentre i casi di malformazioni riscontrate nei neonati sono aumentate del 400 per cento. Incalcolabili, poi, i casi di malattie della pelle e i problemi respiratori riscontrati nei giovani come negli adulti. 

Secondo una recente indagine un terzo della popolazione argentina ha subìto gli effetti negativi del glifosato. Malgrado questo, non è stato adottato nessun provvedimento, né commissionati nuovi studi per capire cosa sta succedendo.

“Questo lavoro – ha dichiarato Piovan a Burn, magazine dei fotografi emergenti - è stato dettato dal mio amore per la natura. Ho lavorato per trovare prove su questa situazione, trascorrendo giorni interminabili da solo con la mia macchina fotografica, viaggiando per oltre seimila chilometri sulla mia auto di vent’anni, per dare il mio contributo affinché tutto questo finisca”.



fonte: eliotroporosa.blogspot.it

01/01/16

ritratto di giovane uomo di Raffaello Sanzio



è un dipinto olio su tavola (72x56 cm) attribuito a Raffaello Sanzio, databile tra il 1516 e 1517 circa e già conservato presso il Museo Czartoryski a Cracovia.

Storia e descrizione

L'opera, che venne copiata anche da Van Dyck probabilmente in Italia (quaderno di Chatsworth, 1622-1627), fu acquistata a Venezia dal principe Adamo Czartoryski nel 1807.

Mostra un giovane di tre quarti, con il volto girato verso lo spettatore, ritratto entro una stanza con finestra. Secondo Gamba la parte sinistra venne tagliata o perché danneggiata o per adattare le dimensioni della tela a una cornice, poiché è abbastanza raro che la mano sia dipinta solo a metà. Una pulitura troppo energica, eseguita in epoca imprecisata, ha impoverito la superficie pittorica, rendendo più difficile l'attribuzione. Interventi di aiuti, probabilmente di Giulio Romano, sono stati rilevati da Adolfo Venturi. Alcuni hanno ipotizzato che potesse essere un autoritratto di Raffaello. Ha capelli lunghi e indossa un'ampia camicia bianca e una pelliccia adagiata sulla spalla. Altri hanno avvicinato l'opera ai ritratti cosiddetti di Francesco Maria Della Rovere negli affreschi della Stanza della Segnatura.

Del dipinto si sono perse totalmente le tracce durante la seconda guerra mondiale quando fu trafugato dai tedeschi: nel 1939 Hans Frank fece infatti confiscare il dipinto. Fu visto per l'ultima volta nel 1945.

fonte: Wikipedia