28/07/16

PPP - 16 -

PIER PAOLO PASOLINI E PHILIPPE SÉCLIER SULLA “LUNGA STRADA DI SABBIA”


Lerici © Philippe Séclier
1959. Lo scrittore Pier Paolo Pasolini, alla guida di una Fiat Millecento, percorre le coste dell’Italia: partenza da Ventimiglia a giugno, arrivo a Trieste ad agosto.
Nel corso di quel pellegrinaggio laico tra famose località marittime – Sanremo, Livorno, Fregene, Napoli, Taranto, Siracusa, Pescara, Ancona, Venezia, sono alcune delle mete raggiunte – Pasolini redige un diario di viaggio (un «piccolo, stenografato “Reisebilder”», lo definisce) che, tra il luglio e il settembre dello stesso anno, viene pubblicato in tre puntate sulle pagine della rivista “Successo” con il titolo “La lunga strada di sabbia”.
2001. A quarantadue anni dal tour pasoliniano, il fotografo francese Philippe Séclier, dopo aver letto il reportage, decide di andare a «vedere ciò che lui aveva visto, capito e sentito, lanciarmi a mia volta su quella strada in sua compagnia, per percorrerla come lui l’aveva descritta».
2015. La casa editrice Contrasto, quarant’anni dopo la tragica morte di Pasolini (2 novembre 1975), pubblica i testi del diario di viaggio – alcuni dei quali inediti – nel libro “La lunga strada di sabbia” (stesso titolo del reportage del ’59), con le bellissime fotografie che Séclier ha realizzato nei luoghi visitati dallo scrittore: «In ogni foto che scatto», ha detto, «spero ci sia un’eco delle sue parole».
Infine, dallo scorso autunno, questo indimenticabile ritratto del Paese è accessibile anche a un pubblico anglofono, grazie alla recente traduzione del volume, pubblicata sempre dalla casa editrice Contrasto.
Qui di seguito, alcuni frammenti delle parole di Pasolini e una piccola antologia delle foto di Séclier.
Quella notte a Napoli non sono andato a dormire: ho girato come un pazzo: là si poltriva in mezzo ai giardini, qua si inaugurava un nuovo caffè, tutto rosso, il Caffè del Sole, là marinai combinavano con donne, lungo ammassi di barche, qua borghesi si dondolavano alle sdraie dei bar scintillanti. Tre o quattro volte sono andato e tornato da Posillipo. Ho fatto l’aurora, ho visto il Vesuvio, vicino che si poteva toccarlo con la mano, contro un cielo, ormai rosso, avvampante, come non riuscisse più a nascondere il Paradiso (Napoli, luglio).
Percorro la costa che il Boccaccio, settecento anni fa, in una sua novella ha chiamato la più bella costa del mondo. Lo è. Fulminata dal sole, è rimasta identica nei secoli, emanando fisicamente bellezza, come se la bellezza fosse una bava, un alone, un raggio. Cosa unica al mondo, qui la bellezza produce direttamente ricchezza. La gente vive in una specie di agio tranquillo, lasciando che la bellezza lavori per lei (da Napoli a Vallo Lucano, luglio).
Ravello è come in uno sperone, sospeso nel vuoto, in fondo a cui si stendono colline che strapiombano sul mare. Ma te ne accorgi solo alla fine, quando giungi alla Villa Cimbrone, che è il punto supremo di Ravello. In capo alla strada ti si para davanti un portoncino, entri, e non puoi non gridare dalla meraviglia: subito, a sinistra uno stupendo chiostro, poi un delizioso palazzetto, e davanti un viale per un giardino favolosamente neoclassico, che finisce di colpo, laggiù, contro il cielo (da Napoli a Vallo Lucano, luglio).
Io cammino per la piccola spiaggia deserta, ai piedi del paese. E nel silenzio che c’è fuori e dentro di me, sento come un lungo, afono crollo. L’intera costa pugliese si sfa in questa quiete, dopo avere infuriato ai miei occhi, ai miei orecchi, per mattinate e meriggi di caos preumano, sottoumano. Lo sperduto Salento, severo come una landa settentrionale, coi suoi paesi greci in sciopero secolare; poi l’esplosione di Brindisi, la più caotica, furente, rigurgitante delle spiagge italiane; e le stupende Otranto e Ostuni, le città del silenzio del Sud; e Bari, il modello marino di tutte le città, poi, fino al Gargano: con la cattedrale, di suprema bellezza, sul mare, e, sotto, i neri, biondi malandrini nudi tra gli scogli (Rodi Garganico, luglio).
Grado è a due passi, appena oltre Aquileia, oltre il nuovo sottile ponte, piatto tra le piatte isole, la piatta acqua lagunare. Il grigio-azzurro del suo cielo e il verde dei suoi alberi friulani, il vermiglio e il cobalto attutiti del suo porticciolo, e l’oro dei capelli della sua gioventù, ne fanno un luogo dell’anima (da Venezia a Trieste, agosto).
Ogni volta che parto da qualche posto, anche se ci sono stato solo poche ore – e i miei amici ne ridono – ci lascio sempre un pezzetto sanguinante di cuore.
Le fotografie di Philippe Séclier sono tratte dal libro “La lunga strada di sabbia” (Contrasto, Roma 2015).

26/07/16

Emmanuel Correia


da Lincoln ad Auriti - l'unica via per uscire dalla crisi


LINCOLN KENNEDYUntitled-1-720x14A cura di Sergio Basile e Nicola Arena
Scandali e scandali, luci e ombre  Untitled-1-720x14   
C’è una scandalo di dimensioni planetarie, universali, che i quotidiani fingono di non vedere: quello dell’usura da moneta-debito che sta annientando miliardi di uomini nell’indifferenza generale. Sulla scorta di ciò oggi ritorniamo volentieri su un tema a noi caro e accendiamo i fari su uno strumento di liberazione e giustizia chiamato SIMEC: comprendendo tale realtà ci accorgeremo che i “veri cupoloni” sono ben altri…
Untitled-1-720x14 L’esperimento SIMEC  Untitled-1-720x14 
L’esperienza Simec, (spiegata in maniera esaustiva ne seguente link: (Cos’è il SIMEC) ossia l’esperienza esaltante del lancio di una una moneta locale – anche se è troppo riduttivo definirla moneta locale, poiché avrebbe potuto ampliare il suo bacino geografico di utilizzo – voluta e promossa dal grande Professor Giacinto Auriti, come sperimentazione scientifico-universitaria, si pose il fine di confermare a livello empirico l’importanza della teoria del valore indotto della moneta (vedi qui Il Consenso Collettivo che crea valore monetario e schiavitù, può liberarci), il test, riuscitissimo, che segnò una svolta epocale nella comprensione del valore spirituale nella moneta (per approfondimenti vedi qui Il Male, la Moneta, L’asservimento Spirituale e qui Moneta e Dimensione Spirituale del Valore).Untitled-1-720x14 La piramide trema… e ordina il blocco…   Untitled-1-720x14
Per bloccare l’esperimento e non permettere alla gente di comprendere il cosiddetto “segreto dei segreti” (vedi anche qui Giacinto Auriti – Il Segreto dei Segreti) cioè che chi crea il valore della moneta non è di fatto la Banca Centrale ma la stessa comunità (accettante la medesima carta-moneta: esperimento, questo, che avrebbe fatto crollare l’attuale sistema infernale basato sul debito – vedi anche qui Il Potere ce l’abbiamo noi… Se solo lo capissimo) sono intervenuti più di 100 agenti della guardia di finanza, sequestrando “provvidenzialmente” il SIMEC. Senza tale immorale requisizione si sarebbe verificato un fatto straordinario e rivoluzionario senza precedenti nella storia: la moneta inventata dal Professor Auriti avrebbe sostituito di fatto la moneta debito. Cioè la moneta della Provvidenza e del mutuo soccorso avrebbe rimpiazzato la moneta della distruzione e della povertà indotta. Ovviamente, poiché il valore della moneta nasce per accettazione da parte di tutti (vedi anche qui Il Potere ce l’abbiamo noi… Se solo lo capissimo) venendo a mancare la fiducia fra la gente, per fattori esterni e contingenti, a causa del sequestro, si interruppe la circolazione monetaria e quindi il valore indotto della moneta. Untitled-1-720x14Conferma e Conseguenza. Questione di fiducia                 Untitled-1-720x14
La conseguenza di questo spiacevole episodio è stata proprio la conferma di come NASCE il valore indotto della moneta e la  dimostrazione di come esso cessi di esistere, proprio come voleva dimostrare Auriti. In parole povere, il valore indotto della moneta nasce con la fiducia e l’accettazione da parte di tutti e finisce proprio a causa della non accettazione per mancanza di fiducia da parte di tutti. Untitled-1-720x14Uscire dalla crisi      Untitled-1-720x14     
Alla luce di quanto detto ci chiediamo: esiste un metodo efficace ad uscire dalla crisi? Beh, la risposta è più facile di quanto ciascuno di noi possa pensare. E’ semplicissimo! Non bisogna inventarsi nulla di nuovo, basta seguire le orme di grandi personaggi della storia, che si sono immolati per seguire i veri ideali di giustizia e credibile libertà. Analizziamo di seguito alcuni episodi della storia, avvenuti in epoche diverse e raccontati cronologicamente: Lincoln creò le banconote “green-backs”, e venne ucciso poco dopo, nel 1865. Durante la guerra civile americana, i Rothschild di Londra finanziarono il Nord (nordisti), e i Rothschild di Parigi il Sud (sudisti). Per ridurre il livello del debito che il suo governo avrebbe affrontato, Lincoln creò quel denaro. Le banconote “green-backs” erano come dovevano – e come dovrebbero – essere tutte le monete oggi: prive di debito e di interessi bancari passivi. Ciò si rilevò potenzialmente disastroso per le banche, infatti se la cosa fosse continuata dopo la guerra e si fosse diffusa in altri paesi le banche e i banchieri avrebbero perso il loro straripante ed incontrollato potere. Lincoln fu assassinato da John Wilkes Booth che, secondo alcuni studiosi, era un agente della Casa Rothschild. Dopo la morte di Lincoln cessò ovviamente anche la stampa dei green-backs. Ricordiamo anche quei dollari emessi da John F. Kennedy: gli United States Note emessi dal Tesoro USA, senza debito. Ma su questo punto torneremo più avanti.
Untitled-1-720x14 La parentesi (strategica) hitleriana…        Untitled-1-720x14
Un altro esempio sono i certificati del tesoro emessi da Hitler, a credito dei cittadini. Hitler e i Nazional-Socialisti, che arrivarono al potere nel 1933, si opposero – almeno formalmente s’intende – al cartello delle banche internazionali iniziando a stampare la propria moneta. In questo presero esempio da Abraham Lincoln. Hitler – legato comunque all’orbita Rothschild, cioè ai padroni indiscussi della moneta a livello globale – iniziò il suo programma di credito nazionale elaborando un piano di lavori pubblici: sia pur con fini per nulla nobili: potenziare la “Grande Germania” per farla diventare una perfetta macchina di guerra e morte. I progetti destinati a essere finanziati comprendevano, tuttavia, le infrastrutture contro gli allagamenti, la ristrutturazione di edifici pubblici e case private e la costruzione di nuovi edifici, strade, ponti, canali e strutture portuali. Il costo di tutti questi progetti fu fissato a un miliardo di unità della valuta nazionale. Va detto che in realtà Hitler non aveva a cuore la sorte della “razza ariana”, malgrado il tenore della solita propaganda di facciata: la sua folle avventura bellica causò al contrario la morte di milioni di giovanissimi tedeschi mandati a morte sicura. il vero obiettivo della Seconda Guerra Mondiale fu la destabilizzazione del continente e la preparazione di un terreno fertile e pronto alla concimazione del seme della nuova dittatura mondiale. Quello del “Nuovo Ordine”.Untitled-1-720x14
 I Certificati Lavorativi del Lavoro     Untitled-1-720x14
Un miliardo di biglietti di cambio non inflazionati, chiamati Certificati Lavorativi del Tesoro vennero comunque emessi, con risultati positivi, almeno in campo economico-sociale. Questa moneta stampata dal governo non aveva come riferimento l’oro, ma tutto ciò che possedeva un valore concreto. Essenzialmente si trattava di una ricevuta rilasciata in cambio del lavoro e delle opere che venivano consegnate al governo. Hitler diceva: “Per ogni marco che viene stampato, noi abbiamo richiesto l’equivalente di un marco di lavoro svolto o di beni prodotti“. I lavoratori spendevano poi i certificati in altri beni e servizi, creando lavoro per altre persone (vedi anche qui HITLER IMITO’ IL SISTEMA MONETARIO DI LINCOLN «).
Untitled-1-720x14L’Anti FED              Untitled-1-720x14
Ma torniamo al “Caso Kennedy”. Il 4 giugno 1963, venne fatto un piccolo tentativo per togliere alla Federal Reserve Bank  il suo potere di affittare la moneta al governo facendosi pagare un interesse. In quel giorno, il presidente John Fitzgerald Kennedy firmò il famoso “ordine esecutivo numero 11110″ che delegittimava – sia pur non direttamente – la privata FED, ridonando al governo USA il potere di emettere moneta senza passare dal cesaristico consenso dei banchieri di casa Rothschild. L’ordine di Kennedy dava al Ministero del Tesoro il potere “di emettere certificati sull’argento contro qualsiasi riserva d’argento, argento o dollari d’argento normali che erano nel Tesoro”. In tutto, Kennedy mise in circolazione banconote per 4,3 miliardi di dollari. Se fosse entrata in circolazione una quantità sufficiente di questi certificati basati sull’argento, questa avrebbe eliminato la domanda di banconote della FED. In pratica Kennedy propose la stessa soluzione diAbramo Lincoln e per questo motivo ne seguì le stesse sorti, infatti fu ucciso a Dallas, in Texas, nel 1963 dalla “Mano Nascosta”.
Untitled-1-720x14 L’errore di Kennedy secondo Auriti: la riserva… che non serve       Untitled-1-720x14
Secondo il professor Auriti, l’errore maggiore di Kennedy fu quello di aver emesso moneta di Stato e non del popolo, inoltre, con la scoperta del valore indotto della moneta, e come la situazione reale ci fa comprendere, è stato dimostrato che la RISERVA (aurea o argenteo che sia) E’ INUTILE, o per fare un simpatico gioco di parole: LA RISERVA NON SERVE. Il verbo “NON SERVIRE” ha, in tal contesto, un doppio significato (uno è quello di essere “inutile allo scopo”, l’altro è inteso come “non a servizio della collettività”, ma contro di essa). Di prove ce ne sono tante altre. Untitled-1-720x14Da Kennedy a Moro  Untitled-1-720x14   
In italia, ad esempio, un caso emblematico nel recente passato fu quello di Aldo Moro, il cui governo promosse a fece emettere dal Tesoro le famose 500 lire, biglietto di Stato a corso legale,  (emissioni “Aretusa” e “Mercurio”).  La prima emissione fu regolamentata con i DPR 20-06-1966 e 20-10-1967 del presidente Giuseppe Saragat per le 500 lire cartacee biglietto di Stato serie “Aretusa”, (Legge 31-05-1966). La seconda emissione fu disciplinata con il DPR 14-02-1974, del Presidente Giovanni Leone per le 500 lire cartacee della serie “Mercurio”, DM 2 aprile 1979. E’ superfluo ribadire che anche Aldo Moro fece la stessa fine dei suoi “predecessori”. Per renderli perfettamente in linea con la PROPRIETA’ POPOLARE DELLA MONETA, quei Biglietti di Stato avrebbero dovuto riportare la dicitura: DI PROPRIETA’ DEL PORTATORE.
Untitled-1-720x14L’unica via        
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E’ dunque chiaro ormai che per uscire dalle crisi create dai grandi usurai per espropriare con un comodo pretesto l’intera ricchezza mondiale, è necessario privare i banchieri privati della possibilità di emettere moneta. L’articolo 1 della nostra Costituzione sostiene a chiare lettere che LA SOVRANITA’ APPARTIENE AL POPOLO: ovviamente senza la “sovranità monetaria” il popolo non può ritenersi affatto SOVRANO, anzi non sarebbe affatto scandaloso chiamarlo “SCHIAVO DEI BANCHIERI”. Una famosa frase del Professor Auriti è questa: “tutti possono prestare denaro, tranne chi emette, aggiungiamo noi, almeno che non sia lo Stato a favore di chi chiede un prestito, attraverso banche interamente pubbliche. Sarebbe sufficiente che lo Stato Italiano emettesse i SIMEC – o chiamandoli in qualsiasi altro modo – senza alterarne la sostanza, ossia riconoscendo la bontà dello strumento convenzionale emesso a credito e di “proprietà del portatore”. Infatti tutta la moneta debito oggi emessa dalle banche centrali, come noto, viene addebitata nei bilanci statali, ingenerando un mare di interessi passivi e di tasse a carico dei cittadini.Untitled-1-720x14 La vera sovranità che spazza via le crisi    Untitled-1-720x14
I cittadini, essendo i veri e unici creatori del valore monetario in circolazione (ossia del denaro) devono necessariamente esserne anche i proprietari, senza alcuna delega ai rappresentati politici. Non si possono incaricare i propri governanti nella fase del godimento di un bene e quindi della proprietà del proprio denaro. Attraverso, quindi una convenzione monetaria, (ricordiamo che la convenzione è una fattispecie giuridica, oggetto di diritto nella fase di godimento del bene creato, ma anche obbligo dei cittadini a rispettarla), si crea questo valore monetario circolante. Per questo motivo, il reddito di cittadinanza (accreditamento di una quota minima necessaria e sufficiente a tutti per sopravvivere e non suicidarsi per fame o debiti) deve essere compreso, dalla gente, come un atto dovuto da parte dello Stato verso i suoi cittadini e non come un’elemosina. E’ giunto il momento di togliere ai banchieri privati la possibilità di emettere moneta e di gestirla. Solo lo Stato può e deve garantire la quantità di moneta in circolazione, in misura adeguata al soddisfacimento di tutte le esigenze di una comunità. Lo stato deve emettere a credito (non a debito) e certificarne la PROPRIETA’ della  moneta ai cittadini. Attraverso la certezza di questo riconoscimento imprescindibile, per la salvaguardia dei diritti di ogni essere umano, ci potrà essere vera libertà di agire e sviluppare idee e stili di vita tendenti all’effettivo benessere della civiltà umana. Untitled-1-720x14Un faro nella notte tempestosa     Untitled-1-720x14
La dottrina sociale della Chiesa per tutto il Medioevo, e fino alla prima metà del Novecento, predicò con priorità estrema questi concetti anti-usura (sia pur rivoluzionati e completati dagli Anni Settanta in poi dal genio di Auriti). Invitiamo pertanto a riscoprire la bontà degli scritti e delle azioni di uomini come San Giovanni da Capestrano, San Berdardino da Siena, San Tommaso d’Aquino, Sant’Agostino, Sant’Antonio da Padova e San Francesco d’Assisi (vedi qui Italia – Evadere le tasse può essere Lecito e Doveroso. Lo dicono anche i santi)Invitiamo a rileggere una enciclica come la Rerum Novarum: capiremo allora il significato vero dell’espressione “difendere la dignità umana” e la sua incompatibilità con il concetto ipocrita e falso di “crisi economica”, nella consapevolezza che solo applicando la proprietà popolare della moneta sarà possibile cancellare dal dizionario la parola crisi (economica). Il prezzo di questa nuova libertà equivale a quello di milioni, e milioni di vite strappate al pozzo nero dello Sheol.
A cura di Nicola Arena, Sergio Basile – quieuropa.it & setedigiustizia.com
http://antimassoneria.altervista.org/da-lincoln-ad-auriti-lunica-via-per-uscire-dalla-crisi/
fonte: https://alfredodecclesia.blogspot.it

24/07/16

il falso calo dei vaccini pediatrici obbligatori



 di Gianni Lannes

Sul portale online del ministero della Salute giacciono in bella mostra i dati ufficiali che smentiscono l’inesistente crollo delle vaccinazioni inflitte ai bambini. Le 4 vaccinazioni obbligatorie hanno percentuali al di sopra del 95 per cento. Il crollo delle vaccinazioni in età pediatrica è l'ennesimo falso propagandato dalle autorità in camice bianco e divisa d'ordinanza (doppiopetto e tailleur). Perché allora tutto questo clamore dei mass media? 


L'ultimo rapporto sull'argomento è dell'Agenzia italiana del Farmaco ('Rapporto sulla sorveglianza di postmarketing dei vaccini in Italia', Agenzia italiana del farmaco (Aifa), datato marzo 2013), disponibile sul sito del Ministero della Salute - che rende note le percentuali sulle vaccinazioni pediatriche relative al 2013, tutte superiori al 95 per cento.  

Dunque, solo quelle non obbligatorie risultano inferiori al 95 per cento. Il polverone mediatico è  stato sollevato nel corso l'approvazione del Piano nazionale di vaccinazione 2016-18 che, tra le novità principali, impone - violando i principi costituzionali - vaccini che prima non lo erano, comunque già somministrati dal 2004 in un'unica soluzione esavalente (Glaxo). Infatti da allora è sparito il quadrivalente, mentre i genitori non vengono informati dell'inoculazione contemporanea di altri due vaccini non obbligatori.

Si tratta dello stesso Piano che, inizialmente, aveva previsto delle sanzioni contro quei medici che vi si opponevano. Il ministro della Salute Beatrice Lorenzin (una diplomata) che confonde batteri con virus, tifa per le vaccinazioni di massa. E consideriamo anche che nel 2003 è stato depenalizzato dall'allora ministro della Salute Girolamo Sirchia, l'obbligo da parte dei medici di segnalare le reazioni avverse ai farmaci, a esclusione dei vaccini, le cui sanzioni quindi non rientravano più nella sfera del penale (prima, invece, era previsto il pagamento di una multa e la detenzione fino a 6 mesi).

Dunque per alcuni vertici della sanità pubblica disapprovare un piano vaccinale è inquadrabile come colpa grave, sanzionabile secondo alcuni con la radiazione (ma poi attenuata prevedendo procedimenti disciplinari degli ordini dei medici), mentre non segnalare danni per la salute, verosimilmente derivati dal nesso causale con un vaccino, è cosa meno grave.

Ad ogni modo, nella realtà che vive oggi il belpaese, per questo piano mancano i soldi: si prevede infatti di aumentare la spesa annua per i vaccini a 620 milioni di euro, mentre per quello in vigore lo stanziamento è di 300.  
A proposito dell'annoso problema della disinformazione, ecco un esempio del modo in cui insorge confusione nei genitori: una lettera inviata dal distretto di una delle Asl più grandi del Lazio, che non brilla certo per precisione informativa.


Questo documento infatti non riporta nessun dato circa l'efficacia dei vaccini proposti, né quali effetti collaterali può presentare e con quale incidenza, né fornisce consigli sul quadro clinico ottimale in cui somministrare quello che - forse si tende a dimenticarlo - resta un farmaco.

Per la cronaca documentata, l’Aifa (il controllore pubblico) ha elargito alla famigerata Glaxo (il controllato privato) ben 26 milioni di euro. Un regalo, un dono, una regalia, oppure un contentino? Ma a che titolo?  

Sia chiaro: i bambini non sono cavie o carne da macello.


riferimenti:












fonte: https://sulatestagiannilannes.blogspot.it

italiani a rischio estinzione

La campana suona per noi
di Roberto Pecchioli

Dopo che l’Istat ha segnalato la diminuzione della popolazione di cittadinanza italiana dopo oltre un secolo e mezzo (147 mila connazionali in meno in un anno), il secondo rintocco della campana proviene dall’Eurostat: gli italiani sono il popolo meno fertile dell’Unione Europea, dunque del mondo. Triste record, a certificare che la nostra nazione è una grande malata. La diminuzione delle nascite, e conseguentemente della popolazione, si verifica nella storia in tre/quattro circostanze: guerre, carestie, grandi emigrazioni, fasi finali delle civiltà.

Non c’è dubbio che la fase che viviamo appartenga all’ultima categoria citata; ci si aspetterebbe un dibattito politico, una presa di coscienza degli intellettuali, un impegno di tutte le classi dirigenti e, naturalmente, una seria preoccupazione popolare. Nulla, o quasi. Nella bulimia da notizie, facciamo indigestione di cronaca, ma ci sfugge la storia, e non distinguiamo più ciò che è importante davvero da tutto il resto.


Della nostra stessa fine sembra non importare nulla a nessuno di coloro che contano, e, di riflesso, all’immensa maggioranza del popolo italiano, sudato per la stagione, triste per l’eliminazione dell’amata nazionale di calcio, massimo collante del patriottismo italiota, e incerto sulla meta delle vacanze, per chi può permettersele. Mia madre mi raccontava dei bombardamenti della nostra città in guerra, e dei calcoli precisissimi che la gente aveva imparato a fare sui pochi minuti entro cui, dal suono della sirena, si doveva raggiungere il rifugio, con il cuore in gola nella speranza di ritrovare, oltre la vita, la propria casa intatta.

La sirena suona, a tempi sempre più ravvicinati, ricorda questioni decisive, ma il nostro sonno è molto pesante. Sia catalessi, ipnosi collettiva, rassegnazione o indifferenza, ma della vita o della morte del popolo italiano sembra non importare a nessuno, se non a qualche reazionario o a qualche razzista cattivissimo dalla testa pelata e semianalfabeta, così rappresentato dal clero imbroglione della comunicazione.

Una prova? Sulle prime pagine dei giornali del giorno in cui scrivo queste note, si parla dell’oscuro episodio di Fermo, la rissa trasformata in terribile guerra razzista, con parole di autentico odio per il fermato (ed il perdono, di cui tanto spesso cianciano i preti, o il garantismo delle anime belle?) e di esaltazione “a prescindere“ per la povera vittima nigeriana. Poi apprendiamo che nei programmi scolastici del Bel Paese i bambini dovranno obbligatoriamente imparare che omosessuale è bello, i sessi sono una costruzione sociale da combattere con “libere” scelte, e gli orientamenti sessuali un indiscutibile tabù, come affermano i trattati dell’Unione Europea. A Torino, il nuovo sindaco a 5 Stelle, che pure destava simpatia, ha istituito un assessorato “alle famiglie”, al plurale, per non escludere trans, omosex , transex e forse neppure chi semplicemente possiede un gatto, e ne ha affidato la direzione al presidente dell’Arcigay. Persino dal PD sono arrivate rimostranze.

Altrove, a comprova della bellezza della società multietnica, leggiamo delle violenze e degli assassinii negli Stati Uniti. In un angolino, sui giornali della Liguria, si parla della drammatica realtà della città di Ventimiglia, frontiera con la Francia, dove oltre mille africani reduci dai gommoni hanno ormai occupato ogni angolo libero e la cittadina è al collasso. In Toscana, spadroneggiano i cinesi, mentre cardinali e vescovi fanno a gara per pronunciare commossi elogi alla fine del Ramadan. Hanno ragione: la loro è invidia, perché vedere tanta gente riunita per pregare Dio è una grande novità, e magari un esamino di coscienza potrebbe aiutarli a capire i perché non esiste più il popolo cattolico italiano. Del resto, lo stesso loro capo, il vescovo romano argentino Bergoglio, parlando di nascite, ha deprecato coloro che fanno figli “come conigli” ed ha strologato del sangue nuovo che apporterebbe all’Europa l’immigrazione. Una prova in più della natura sostitutiva delle nostra gente del fenomeno migratorio, ma, poiché in gran parte i nuovi arrivati sono tutt’altro che cattolici, le parole che orientano i comportamenti dei preti o sono frutto di pazzia collettiva o di callido interesse economico travestito da buonismo evangelico: Caritas, Sant’Egidio ed affini in prima linea per sussidi e contributi statali. Il denaro non puzza mai.

Insomma, dappertutto, su versanti diversi, tutto congiura ad affrettare la fine del popolo italiano. Un grande politico di profonda ispirazione intellettuale, poco amato nel suo stesso ambiente di pigri adoratori del passato, Beppe Niccolai, esortava i giovani a non ragionare con le ristrette categorie della sociologia o della cronaca, ma di ascoltare e studiare il respiro della storia. La sociologia fotografa ciò che vede, in genere allo scopo di fornire munizioni all’arsenale del potere vigente. La storia osserva, studia, ricostruisce, istituisce paragoni, esprime giudizi: non è mai neutrale, o, come prescriveva Weber per le scienze umane moderne, “avalutativa”.


La sociologia, insieme con l’antropologia culturale e la psicologia, conosce bene le cause della denatalità e del coma profondo in cui è caduta l’anima europea. Inutile è attardarci a ricostruire il percorso che ci ha portati a questo momento: l’individualismo, l’edonismo dei consumi, l’orrore per la responsabilità e per le scelte definitive, perché i figli sono per sempre, la rivoluzione sessuale, l’esaltazione dell’omosessualità, il mito dell’essere umano “unico” e sradicato, la decadenza dei padri, la paura del futuro, l’anteporre a tutto il denaro, i redditi sempre più bassi voluti dal capitalismo di rapina che, dopo le donne, ha ora uno sterminato ulteriore esercito di riserva negli immigrati.

E’ tutto vero, ma sfugge la domanda essenziale, quella senza la quale nulla potrà cambiare. E’ un bene o un male, o è indifferente che scompaia il popolo italiano, e dopo di esso, o insieme, la razza bianca europea?

Senza una risposta, che deve provenire dai tre ambiti del nostro essere, il corpo/materia, lo spirito e l’anima, le chiacchiere staranno sempre a zero, e si spegneranno in due generazioni per fine biologica degli interessati. Prima di dare una risposta, un’osservazione: gli europei e gli occidentali in genere, si stracciano le vesti perché la modernità tecnologica provoca ogni anno la sparizione di centinaia di specie animali e vegetali. Hanno persino istituito un trattato, la Convenzione di Washington, per la tutela delle specie in pericolo di estinzione. Non pochi piangono per un orso abbattuto, ma nessuno esige la difesa della biodiversità umana. Protesi verso l’Unico e l’Identico, nemici delle differenze in quanto portatrici di ingiustizie, non trasferiamo agli uomini l’attenzione culturale che riserviamo ad altri esseri, salvo non muovere un dito affinché cambi e sia sconfitta la società che ha generato ciò che vediamo.

Ben addestrati dalla pubblicità, condizionati da insegnamenti folli, iniziati a verità ideologiche obbligatorie ed indiscutibili, siamo solo plebi desideranti di partecipare all’orgia del consumo. Perché a me no, se il mio vicino sì? Margaret Thatcher urlò, con la franchezza di cui pochi liberisti sono capaci, che per lei esistevano “solo individui”, e non gruppi sociali, o popoli. Paradossalmente, le hanno creduto soprattutto i progressisti, portatori insani di un morbo detto “spirito dei tempi”.

In uno dei suoi torrenziali articoli domenicali, che costituiscono altrettanti rotoli della Torà dei ceti borghesi “liberal” italiani, Eugenio Scalfari anni fa si interrogò sull’immigrazione ed i suoi effetti, concludendo, pur tra verbose circonlocuzioni e prudenti velature di linguaggio, che sì, l’Italia era degna di sopravvivere, o almeno lo era la sua cultura. Dimenticato anche lui, come certi articoli della costituzione sgraditi all’oligarchia transnazionale. Noi, attenendoci alla lezione di Niccolai sulla storia, o semplicemente invocando l’istinto di conservazione, che estendiamo al nostro popolo ed alla nostra razza, affermiamo che la scomparsa degli italiani sarà una perdita incommensurabile per l’umanità , e vogliamo, dobbiamo continuare a vivere, ad “esserci”, come direbbe Heidegger, anche se fossimo il popolo più mediocre o malvagio del pianeta. Noi siamo noi, esistiamo, e tanto basti.

“Primum vivere, deinde philosophari”. Da morti, tutt’al più lasceremo un’eredità, che altri potranno a loro scelta o gusto, distruggere, sperperare, utilizzare, migliorare. I sepolcri parlano soltanto a chi vuole o sa ascoltare, come intuì Ugo Foscolo. Poiché, almeno apertamente, nessuno propugna la fine degli italiani, e la verità del progetto neo malthusiano di certe élite gnostiche non potrà mai essere spiegata alle masse con speranza di successo, il nemico da abbattere è dunque l’indifferenza verso la sorte degli italiani.

Un’ulteriore rintocco della campana lo ha prodotto il rapporto di un altro istituto di indagine statistica e sociologica, il Censis, che, osservando con lo strumento della matematica statistica l’istituto del matrimonio – parliamo ovviamente di quello vigente da millenni tra uomo e donna - formula una prognosi terribile: tra quindici anni non ci saranno praticamente più matrimoni. Infatti ci si sposa sempre meno, e la china pare inarrestabile, e lo è, se non cambia, come dicevamo prima, il paradigma, ovvero se non si rovesciano i valori, o disvalori vigenti, uno dei quali è la prevalenza dell’io sul noi, con il relativo predominio del provvisorio, dell’utile a me, del momentaneo su qualunque scelta che impegni. Una modalità di vita come lo yogurt: a scadenza ravvicinata.

Se gli italiani dunque devono sopravvivere, devono gettare alle ortiche tutto ciò che ha prodotto l’ultimo mezzo secolo, senza cadere nell’errore fatale di considerarsi una nazione etnica. Non lo siamo, pur se tutti condividevamo la medesima fede religiosa, l’appartenenza alla razza bianca, con le differenze di aspetto che ancora sussistono tra mediterranei e alpini o mitteleuropei, l’uso della stessa lingua veicolare e lo stanziamento storico su territori ben delimitati dalla natura, il mare per tre lati, le alpi per il quarto. Siamo essenzialmente una nazione culturale, per questo abbiamo il dovere di integrare chi comunque è qui e non se ne andrà. Diventare italiani non è, non può essere un tratto di penna, una legge che accordi a chiunque, per nascita o lunga permanenza, la cittadinanza, che è altro, ben altro, che nazionalità.

Italiano è chi ama questa terra e questa cultura. Deve quindi conoscere la lingua, la storia, il costume nostro, ed accettarlo come proprio. Riconoscersi con lealtà nelle norme scritte e negli usi concreti, non pretendere eccezioni per sé ed i propri. In Francia, l’assimilazione nella Repubblica è fallita con la gran parte dei maghrebini e dei neri, è riuscita con gli altri, ma si è sempre pretesa, in cambio della cittadinanza, la fedeltà alla nazione. Quanto agli Stati Uniti, modello, miraggio e guida di questo tempo assurdo, ciò che accade in termini di problemi razziali dovrebbe insegnarci che prevenire è meglio che raccontare la fiaba dell’uguaglianza, dell’antirazzismo e della felice convivenza tra diversi o opposti.

Il dramma è l’indifferenza: l’ultimo politico italiano a battere un colpo, pur se in negativo, fu Giuliano Amato circa quindici anni fa, quando sbottò, non senza qualche ragione, che gli era incomprensibile l’attitudine degli italiani, i quali non fanno figli, ma pretendono lo Stato sociale e non vogliono gli stranieri.

Renzi tace, e del resto non si può chiedere troppo al cervello di quell’incrocio tra Calandrino e Buffalmacco, la signora Boldrini sarà deliziata dalle statistiche funerarie per gli italiani, i grillini cantano la canzone dell’onestà e non hanno progetti in materia, ma tace anche il resto della politica, a partire dai partigiani delle ruspe per continuare con i patrioti della domenica con mano sul cuore che difendono, meritoriamente, soldati e marò, ma non pensano che il tricolore durerà ben poco in mano agli “italiani” di domani. Liberali e collettivisti se ne fregano, agli uni interessa il denaro e lo sfruttamento di chiunque, senza distinzione alcuna (i veri egualitari sono loro!), gli altri hanno barattato i diritti sociali con i capricci individuali. Quanto ai cattolici della politica, non hanno mai saputo o voluto imporre la loro idea, giusta, di una tassazione tarata sulle famiglie e non sugli individui, e non si sono mai azzardati a chiedere politiche demografiche d’attacco.

Dobbiamo quindi realizzare un’inversione di 180 gradi. Chiunque, da qualsiasi posizione ideale provenga, abbia a cuore la persistenza ed il rilancio della comunità nazionale italiana prima che le leggi della demografia, della biologia e dell’aritmetica sommergano tutti, deve organizzare non una semplice resistenza, ma programmi e progetti concreti per ribaltare la situazione. Il cambio di visione generale della società è compito di una cultura alleata della politica, ma le misure da intraprendere possono venire solo da un dibattito a molte voci. La nostra è l’epoca del denaro, occorrerà quindi un approccio che privilegi la “convenienza”, quindi normative fiscali a favore delle famiglie e “contro” i singoli – bisogna accettare di avere anche degli avversari, e comunque privilegiare determinati interessi comporta colpirne altri – programmi di aiuti ed infrastrutture per le madri lavoratrici, periodi di assenza del lavoro più lunghi, organizzare, incentivare ogni forma di volontariato sociale a favore dei bambini e di chi li mette al mondo, privilegi (sì, privilegi) fiscali e sociali per madri, padri e membri di famiglie numerose, e qualsiasi altra iniziativa che ciascuno può rappresentare.

A chi ci chieda come si finanzia tutto questo, possiamo rispondere in molti modi: da un lato, la vita non ha prezzo, e quella del popolo cui apparteniamo vale qualche sacrificio, come una messa cattolica valse bene Parigi ad Enrico di Navarra. Dall’altro, occorre spostare la tassazione dalle persone fisiche a quelle giuridiche, dagli individui alle cose, e, soprattutto occorre farlo con un progetto che abbia come promotore e garante lo Stato nazionale. Il ripristino della sovranità consentirà di dare il benservito ai finti creditori che ci uccidono , come alle oligarchie che hanno interrotto ogni processo democratico. Non è importante disquisire sul concetto di sovranità nazionale, più caro ad alcuni, o di sovranità popolare, più vicino a sensibilità di ascendenza socialista. Ciò che conta è la sovranità, con o senza aggettivi, che è l’unica cornice entro cui potremo decidere – noi e solo noi - le politiche ed i metodi con cui fermare l’emorragia di italiani, causa prima e principale dei nostri guai. Una nazione forte, in cui le generazioni si riproducono e si danno il cambio fa rabbia ai suoi nemici, che non sono, da molti anni, altre nazioni, ma ben individuate cerchie, o cricche, di banchieri, oligarchi, mascalzoni planetari decisi a tenere il mondo in pugno attraverso la distruzione dei popoli ed il ricatto economico e finanziario.

A livello politico, sono persuaso che sia necessaria la nascita di movimenti sociali che si propongano con sincerità e senza infingimenti la sopravvivenza del popolo italiano attraverso la riconquista delle sovranità ed il lancio di vasti programmi di ripresa demografica.

Solo gli italiani possono prendere in mano il destino del loro popolo. Non può essere un unico partito, ma un fronte, o persino più fronti, convergenti su due obiettivi che significano, molto semplicemente, vita o morte: comandare su noi stessi, riportare gli italiani a diventare padri e madri. La campana ha suonato per noi, più volte. Chi non ascolta ha un unico destino, quello di non poter più ascoltare l’ultimo suono, quello delle campane a morto che accompagnano il funerale nostro.

Dunque, viva l’Italia, in senso letterale, ossia sia viva e resti sulla scena del mondo la nostra gente in questa terra bellissima, che tale è anche per il lavoro, il cuore, il cervello dei nostri padri!  


fonte: https://freeondarevolution.blogspot.it

22/07/16

PPP - 15 -




Quando Pasolini passò da Rodi:
«I tuoi limoni dicono com’è l’Italia»

Tratto da «La lunga strada di sabbia»
di Pier Paolo Pasolini

Rodi Garganico, luglio. E’ appena passata mezzanotte, e sono solo. Ma solo come può essere solo uno spettro. Tutti sono serrati nelle case, di questo paese peraltro abbastanza elegante. I piccoli borghesi foggiani in villeggiatura, i rodigiani, che domani mattina si devono alzare alle tre, alle quattro, per andare nei campi col mulo. E’ suonato un misterioso coprifuoco: nessuno lo trasgredisce.
Io cammino per la piccola spiaggia deserta, ai piedi del paese. E nel silenzio che c’è fuori e dentro di me, sento come un lungo, afono crolla. L’intera costa pugliese si sfa in questa quiete, dopo aver infuriato ai miei occhi, ai miei orecchi, per mattinate e meriggi di caos preumano, sottoumano.
Lo sperduto Salento, severo come una landa settentrionale, coi suoi paesi greci in sciopero secolare; poi l’esplosione di Brindisi, la più caotica, furente, rigurgitante delle città di mare italiane; e le stupende Otranto e Ostuni, le città del silenzio del Sud; e Bari, che segna i pericolanti e informi come accampamenti, folle sotto i palchi delle luminarie e i podi bianchi traforati delle bande, sono un solo, sordo frastuono. Che si infrange contro le muraglie del Gargano, il cui periplo, a picco sul mare, tra le severe, deserte montagne, allontana dall’Italia di migliaia di chilometri.
Ho perso il battello delle Tremiti, non ci potrò andare. Ma qui sono in un’isola, non credo laggiù sia diverso. Cammino, eslege, nel buio del coprifuoco, e già rimpiangono l’interminabile giorno su cui è caduta questa imprevista sera.
♥    ♥    ♥
L’amministrazione sta preparando un volume (a cura di Antonio Motta), ma l’idea che ronza in testa al sindaco Nicola Pinto è onorare quella “benedizione laica” sugli agrumi con un busto. Una statua se proprio bisogna esagerare, magari lungo la spiaggia. La stessa spiaggia che lui, 54 anni fa, solcò a piedi poco dopo mezzanotte e che oggi il mare ha (quasi del tutto) ingoiato soprattutto nel tratto litorale. Oggi lo sanno tutti che Pier Paolo Pasolini è stato a Rodi. In città tengono a precisare. «Non a Peschici, non a Vieste. E’ stato qui… » quando invece, per comodità visto che veniva dal Salento, avrebbe potuto fermarsi a Manfredonia (non a Foggia, visto che il viaggio si sviluppava solo sulla Lunga strada di sabbia del Paese).
Oggi lo sanno tutti, che una notte di luglio del 1959 Pasolini passeggiò in questa Rodi deserta, un’altra cosa rispetto alla cittadina garganica circondata (forse troppo, specie in alcuni punti) da alberghi. All’epoca ce ne erano solo due: la pensione Bologna (oggi non esiste più, allora era un raduno di cacciatori che si recavano sul Gargano non ancora area protetta) e il Miramare (all’epoca in un’altra posizione rispetto a dov’è ora). «Non ho alcun documento ufficiale che possa confermarlo, ormai sono passati tanti anni e non conserviamo più i registri antecedenti agli anni Sessanta – racconta Antonio Apicella, proprietario del Miramare – ma secondo me… ha dormito qui da noi. Lo facevano tutti i personaggi famosi, anche Marcello Mastroianni (che l’anno prima a Rodi aveva girato parte del film La legge, ndr) venne a dormire da noi: e questo lo so sicuro».
Ma lui, Pasolini, anche se reduce dal grande e controverso successo di Ragazzi di vita (Garzanti, 1955) non era ancora uno di quelli che resta impresso, non era ancora – come lui stesso odiava dire – uno “popolare ”. «Perché? Perché io scrivo, non vado in televisione a far dibattiti».
Sembra oggi, sono passati 54 anni e l’Italia è alle prese (ancora) con gli stessi dibattiti. Dello stesso parere il sindaco Pinto, che sul luogo in cui ha soggiornato Pasolini dice: «Credo al Miramare, non credo proprio ad altre teorie. Comunque verificheremo anche noi, coi nostri studiosi e con le persone (pochissime purtroppo, ndr) che dicono di averlo visto in paese». Ma perché è importante stabilire se Pasolini dormì in albergo o, come sostengono alcuni, all’addiaccio nella sua macchina? Perché al mattino, dopo il risveglio, nel proprio diario di bordo personale – che non entrò nel reportage – il poeta scrisse «ho dormito bene, anche comodo… ho sognato sogni sereni, come non facevo da tempo, oggi questo odore di limoni che invade l’aria appare come una profezia. Rodigiani o rodesi, i vostri limoni dicono tutto del bel Paese». Espressione tipica del poeta bolognese, con cui intendeva ironizzare sui grandi paradossi dell’Italia degli anni Cinquanta e Sessanta. Una metafora coltissima sul fatto che, l’odore di civiltà e progresso, stesse in realtà nascondendo l’odore del malaffare che avrebbe caratterizzato l’Italia del boom economico.
Una “consacrazione laica”, a cui (purtroppo solo ora) Rodi guarda con attenzione, ma meglio tardi che mai. «Il paese deve prendere atto di questo testamento – dice Piero Cotugno, due generazioni di imprenditoria turistica e oggi a capo dell’hotel Tramonto – che potrebbe essere l’occasione per diversificare la natura del nostro turismo. Dal prossimo anno abbiamo aperto agli inglesi (tra i maggiori lettori di Pasolini, ndr) e nelle schede di presentazione noi dobbiamo dire che Pier Paolo Pasolini trascorse qui un giorno, un giorno durante cui ha capito tutto quel che c’era da capire del Gargano e dei Garganici. Stiamo lavorando per questo, una strada, un busto, un segnale attivo e intelligente della sua presenza qui, ma che non sia un segnale inutile come le tante statue presenti in Italia… » Ma chessò, una via dei limoni che parta da Rodi per arrivare a Monterosso, il paese di Montale (lui ai limoni dedicò una poesia, una delle più belle del Nobel 1975). «Purtroppo Rodi accolse Pasolini nel periodo in cui si stava disamorando dei suoi agrumi – argomenta Alfredo Ricucci, presidente del Consorzio agrumi del Gargano – e nonostante ciò rimase colpito dalla bellezza, dall’odore. Solo alcuni anni dopo, Rodi ha capito che doveva ripartire dagli agrumi. Quello dei limoni è certamente un modo per interpretare la realtà dei garganici, noi dobbiamo fare tesoro di questi lasciti, anche letterari, perché se sono avvenuti… il motivo è che questo territorio li merita».
Davide Grittani

Vedi anche in pasolini.net:
http://www.pasolini.net/libri_seclier_stradasabbia.htm
http://pasolinipuntonet.blogspot.it/2012/09/con-me-stava-in-silenzio-niente-appunti.html
http://pasolinipuntonet.blogspot.it/2013/08/quando-pasolini-passo-da-rodi-i-tuoi.html

fonte: https://alfredodecclesia.blogspot.it