30/05/18

didattica neoclassica all'Accademia di Brera - Parini insegnante


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MILANO: CORTILE DEL PALAZZO DI BRERA (post 1844)
AutoreMoja Federico (1802/ 1885), disegnatore; Achille Pietro (1799/ 1872), incisore; Ratti Francesco (1819/ 1895), incisore
 Xilografia-  107 mm. x 73 mm.
“Le epoche critiche, dove un popolo si muta a condizione nuova di civiltà, condizione che deriva dal passato e si lega all’avvenire, meritano studio più che le gloriose. E il XVIII fu secolo di semenza e di lavoro individuale, adagiato ancora sull’autorità e sull’abitudine, ma pure già fecondo di questo nostro, tutto convulso fra le idee e le cose, fra i bisogni e i fatti, fra aspirazioni smisurate e rachitici movimenti, che sbozza tutto e non termina niente, che agogna a un’illimitata libertà e si sgomenta quando una particella gliene sia lasciata.” Cesare Cantù, L’abate Parini e la Lombardia nel secolo passato, 1854.
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Gaetano Monti – Monumento a Giuseppe Parini 1838 – Scalone d’ingresso al primo piano del Palazzo di Brera
Forse ha un sapore contraddittorio risalire alla didattica neoclassica così come si esplicò nei primi decenni all’interno della neonata Accademia di Brera in quel clima politico ed economico così differente dal nostro che pensava ad un istituto efficiente, pratico, di tipo artigiano da applicarsi direttamente alle esigenze del costruire e allo stesso tempo ad una elevata ed aulica università delle arti. In realtà l’ambizione sarebbe proprio quella di condurre a una nuova, e pur sempre antica, sensibilità all’interno del vuoto di arti e mestieri che il nostro presente ci offre. Più che mancanza di richiesta, economicamente permettendo, mi sembra evidente che siamo incapaci di proporre un’adeguata offerta e lo dimostra la gran quantità di manodopera straniera presente nei cantieri.
Molti obbietteranno che sono i giovani a non essere interessati a lavori manuali artigiani ma allora non mi spiego la notevole espansione degli istituti alberghieri che ha preso piede in questi ultimi anni. Chi avrebbe mai detto fino a pochi anni fa che per fare il cuoco o il cameriere fosse necessario uno studio superiore? E come mai così tanti giovani cercano rifugio all’interno di queste strutture scolastiche? D’accordo…..qualcuno sognerà anche masterchef ed è fuori dubbio che i tanti programmi televisivi hanno conferito al mestiere una maggior dignità. Vi è poi sicuramente il vantaggio di opportunità di lavoro in un paese come il nostro che di turismo vive, anche se potrebbe camparci molto, ma molto di più. Ma è innegabile che i moltissimi giovani che si avvicinano a queste scuole mancano di interesse o motivazione per lo studio (anche se va detto che le materie teoriche non mancano come è giusto che sia). Allora perché non pensare anche a istituti professionali artigiani dove si impara a fare la malta come la facevano gli antichi per esempio, e come svilupparne il processo nella modernità? Adesso mi aspetto che qualcuno controbatta con un sorriso “ah…perché i muratori non sanno fare la malta?”. Proprio così! Il muratore moderno sta perdendo conoscenze e abilità in tal senso abituati come sono ad utilizzare prodotti premiscelati di origine industriale. Sarebbe un po’ come per uno chef usare un composto già pronto per fare una torta, che peraltro esistono in commercio ma che non vorrei trovarmi su un piatto di un ristorante. Ma se da una parte può sembrare evidente a tutti la necessità di cucinare con ingredienti adeguati e saperli usare al meglio, molti faticheranno a comprendere l’esigenza di avere un muratore in grado di preparare una malta nel giusto modo. Lasciatemi dire che immagino sia perché ignorate il degrado che investe al giorno d’oggi l’arte del costruire, che, attraverso la perdita progressiva delle sapienze artigianali manuali e non, dei materiali e dei metodi, giunge sino all’incapacità che mostrano molti architetti nel saper gestire e indirizzare chi poi opera sul costruito materialmente. Questo valga anche per falegnami, imbianchini, marmisti, decoratori di ogni genere, conservatori e restauratori. Un buon governo dovrebbe far fronte a questo impellente malessere. Ma questa sì che al momento è pura utopia.
Le Accademie d’Arte del Settecento e di inizio Ottocento erano nate per gestire l’istruzione artistica e rappresentavano una garanzia di fama e successo, nonché di impiego sicuro, per aspiranti pittori e scultori e per tutte quelle professioni artigianali legate al costruire. Insomma erano scuole così come lo sono oggi, per fare un esempio tangibile, proprio gli istituti alberghieri all’interno del business del turismo.
Sorte in difesa di interessi di categoria, le Accademie d’Arte si erano date, fin sul nascere, un’elementare struttura didattica, basata sullo studio del disegno. Tale orientamento rimase per lo più invariato per tutto il Settecento, secolo in cui si assistette alla proliferazione di nuove istituzioni dello stesso genere. L’insegnamento era normativo e supportato da vincolanti regole: il canone ispiratore degli allievi era la mimesi, ovvero l’imitazione di opere dell’antichità classica o della natura, e tendevano alla ricerca di un ideale estetico assoluto che potesse diventare anche modello etico per la società del tempo.
Insomma tutto quello che nel XXI secolo, sino ad arrivare alla nostra contemporaneità, si è cercato di decostruire, per cui è lecito chiedersi se ha senso battere ancora questo chiodo, ricercare un bello ideale, volersi ispirare alla natura, ai classici, in tempi che ormai possiamo definire di cyber-cultura? Il sospetto che questa ricerca appaia come un vacuo sfoggio di erudizione di un tempo che fu prevarica il mio buon senso. Ma è pur ovvio che io non intendo auspicare che si propongano le lezioni neoclassiche, così come furono impostate, a dei giovani allievi moderni. Anche se è probabile che il nostro destino di umani sia sempre più legato a un divenire bionico mi è difficile credere che saremo svincolati da una ricerca di un bello ideale, insomma da un costrutto psicologico (che volendo possiamo chiamare anima) che unisca la natura, di cui siamo ancora parte integrante, ad un prossimo futuro, all’interno del quale le macchine, i progressi tecnologici, saranno predominanti. Per esempio è interessante l’affinità tra il tablet e la tabula degli antichi greci formulata da Maurizio Ferraris, entrambi supporti scrittori sui quali la memoria si imprime fissando i propri contenuti.
Ad ogni buon conto, quale che sia il futuro che ci attende, ad un periodo storico dominato da un decadimento deve necessariamente far seguito un periodo di riflessione e di recupero di un’armonia perduta. Nel corso della storia dell’arte questi ciclici avvicendamenti sono sempre avvenuti. Il Romanico rappresentò un ritorno all’ordine rispetto all’arte barbarica; l’Umanesimo rispetto al Gotico; il Neoclassico rispetto al Barocco; il Realismo rispetto al Romanticismo e il così detto “ritorno all’ordine” a seguito dell’avanguardismo novecentesco. Il comune denominatore era sempre il Classico, potente matrice della nostra identità culturale. Sembrerebbe fuori luogo rivendicare in un certo senso le proprie radici in un mondo come il nostro, sempre più globalizzato, dove le culture di tanti popoli lontani dalle nostre tradizioni si intrecciano sempre più velocemente. Ma se lo consideriamo come luogo di riflessione, come del resto lo è sempre stato, una sorta di indirizzo, di strada da percorrere per elaborare nuove chiavi di interpretazioni per le necessità del presente, rappresenterà la dimensione ideale per un confronto tra le culture poiché il periodo classico stesso fu luogo di “antichi scambi interculturali”.
“ Ogni epoca per trovare identità e forza, ha inventato un’idea diversa di classico. Così il classico riguarda sempre non solo il passato ma il presente e una visione del futuro. Per dar forma al mondo di domani è necessario ripensare le nostre molteplici radici”.«Quanto più sapremo guardare al ‘classico’ non come una morta eredità che ci appartiene senza nostro merito, ma come qualcosa di profondamente sorprendente ed estraneo, da riconquistare ogni giorno, come un potente stimolo ad intendere il ‘diverso’, tanto più da dirci esso avrà nel futuro».Salvatore Settis, Futuro del classico
I continui rimandi tra passato e presente che questa ricerca offre mi paiono attrattive indiscutibili di approfondimento.
Come ho avuto già modo di esplicare in un articolo precedente, DIDATTICA NEOCLASSICA ALL’ACCADEMIA DI BRERA – INTRODUZIONE, l’Accademia di Brera fu costituita dall’Imperatrice Maria Teresa nel 1763 in risposta a una supplica rivolta dagli artisti milanesi alla Sovrana per l’istituzione di un “pubblico studio gratuito del disegno”. Il Governo conferì a Giuseppe Piermarini l’incarico di risolvere la disposizione degli spazi e a Giuseppe Parini quello di stendere il piano preliminare. Nello scritto “Delle cagioni del presente decadimento delle Belle Lettere e delle Belle Arti in Italia e di certi mezzi onde restaurarle”, steso per la riforma delle scuole in Lombardia, Parini attribuisce le colpe della decadenza delle arti, lamentata da professionisti e non del campo, al processo formativo ecclesiastico. Ricordiamo che qualche anno dopo la stesura di questo scritto e precisamente nel 1773 l’ordine dei Gesuiti, che a quei tempi monopolizzava l’insegnamento, fu soppresso da papa Clemente XIV fornendo al governo asburgico l’occasione di omogeneizzare l’istruzione sotto una responsabile gestione statale.
Eppur in questo stesso scritto Parini afferma che non è compito del Governo prescrivere leggi e sistemi in materia di belle arti in quanto “La natura sola forma l’attitudine de’ bravi artisti; le combinazione ne’ spiegano le facoltà; e la volontà o la intervenzione diretta del Governo non può crearli. Quando i bravi artisti ci sono, essi soli possedono la vera scienza dell’arte loro; essi meglio d’ognaltro sanno con qual metodo o disciplina si debban condurre ed ammaestrare i loro alunni……. La sola utile protezione che il Governo possa dare a simili stabilimenti, è di provvederli d’eccellenti esemplari e modelli, di bravi e zelanti maestri, di mezzi e di sussidi e di comodità per lo studio e l’esercizio. Tutto il resto non è che pompa e magnifica superfluità.”
Per Parini il Governo deve assolvere il compito di creare le giuste combinazioni per fare in modo che gli artisti possano operare nell’arte loro procacciandosi guadagno e stima fornendo commissioni per pubbliche fabbriche. “In tal caso i bravi artisti si fanno conoscere, vengono adoperati, guadagnano una comoda sussistenza, gareggiano fra loro, si eccitano all’amor della gloria e della perfezione. In tal caso per essere eccitati a studiare e perfezionarsi non hanno bisogno né d’illustri presidenti alle loro Accademie né di privilegi, né di nobili qualificazioni, né di pompe dispendiose, né di soccorsi straordinari; colle quali cose o si impicciolisce l’animo pascendolo di vanità, o si turba la semplicità dell’ordine pubblico, o si dà luogo alla cabala, all’arbitrio, alla predilizione, onde nasce l’invidia e lo scoraggiamento dei buoni, e la insolenza e la impostura de’ cattivi.”,
conferendo così al lavoro dell’artista/artigiano il giusto valore morale che dà senso, misura e stabilità al singolo e alla collettività; il più nobile dei fini che in definitiva dovrebbe essere alla base di ogni attività umana.
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Ritratto di Giuseppe Parini (Bosisio, 1729 – Milano, 1799), Serie di ritratti del canonico Giuseppe Candido Agudio, 1750 circa
Pinacoteca Ambrosiana, Milano
Matita nera e gesso bianco su carta, 40×30 cm. 
Giuseppe Parini cominciò ad insegnare a Brera il 15 novembre 1773. Dopo l’apertura dei corsi dell’Accademia di Belle Arti nel 1776, oltre agli studenti adulti furono aggregati alle lezioni di Belle Lettere anche gli studenti più giovani di questi corsi «non peranco maturi per la facoltà trattata dal Parini stesso»; il suo pubblico cambiò definitivamente dopo le riforme del 1786, quando la sua cattedra fu unita all’Accademia, e la presenza di tanti giovani non abbastanza preparati rese necessario rendere più elementare il suo corso, che fu alleggerito anche come orario in seguito alla nomina di Parini a sovrintendente di Brera nel 1791.
In questi ultimi anni è accresciuto l’interesse da parte di molti studiosi verso la didattica accademica dei corsi di belle arti che qui voglio io stessa trattare. Per questo gli studi al momento disponibili a cui farò riferimento sono piuttosto incompleti. Si aggiunga la difficoltà materiale a reperire documenti dell’epoca dispersi nei vari archivi e biblioteche non ancora sufficientemente catalogati e indagati.
Il trattato De’ principii fondamentali e generali delle belle lettere applicati alle belle arti, steso fra il 1773 e il 1775 e pubblicato postumo da Francesco Reina (allievo di Parini), raccoglie le lezioni tenute dal poeta a Brera. E’ un’opera nata dalla pratica dell’insegnamento e destinata alle scuole ma al suo interno vi si riconosce quella sicura competenza in fatto di letteratura artistica unanimemente riconosciuta al Parini dai contemporanei. Valga tra tutti la testimonianza di Foscolo;
“Assiduo e prediletto il suo studio dei trattati delle arti belle; particolarmente gli furono care le biografie degli artisti celebri; e tra i pochi libri che possedette i suoi esecutori testamentari trovarono due copie delle Vite del Vasari, gualcite dall’uso. Non si dedicò invece al disegno, né alla musica, pur conoscendo d’entrambe la tecnica e la teoria, pur dimostrando di queste arti tanta sensibile intelligenza che i più noti maestri ricorsero sovente ai suoi consigli.” (Ugo Foscolo, Saggi di letteratura italiana).
Anche se in realtà non si hanno notizie certe dell’esistenza di questa seconda copia delle Vite, se non appunto nelle parole di Foscolo, lo spazio riservato nelle Lezioni pariniane all’opera di Vasari è notevole. Percependo nell’artista del cinquecento una libertà e indipendenza di intenti paragonabile a quella illuminista, dai contenuti filosofici oltre che tecnici, definisce l’opera utile per tutte le arti che hanno per oggetto la produzione del Bello, abbondando di giusti precetti e finissime osservazioni, che l’arte, con qualunque mezzo, tenti di produrre formando in noi un buon gusto che si può definire universale. E attraverso le sue parole diventa esperienza visiva, tecnica ecfrastica, particolarmente utile ai milanesi che, sebbene avessero a disposizione pregevoli opera d’arte, non ne avevano sott’occhio di così egual valore.
Francesco Reina, che fu appunto allievo del Parini, ci descrive le sue lezioni appassionatamente; “Rapiva gli animi, e faceva che tutti pendessero attoniti dalla bocca di lui.”
Basava i suoi precetti attraverso l’assidua osservazione della natura con spirito assolutamente illuministico fondando i principi fondamentali (interesse, varietà, unità, mutuati da Charles Batteux) e generali (proporzione, ordine, chiarezza, facilità, convenevolezza) in una costante fusione tra passato e presente che è una delle caratteristiche dominanti del suo neoclassicismo.
Le lezioni del Parini erano impostate sullo studio di critici d’arte antichi (Aristotele ed Orazio) e moderni (Du Bos, André, Batteux, Mendelssohn e Sulzes), meditazione sui classici e osservazione costante della natura e specialmente sui sentimenti umani necessari all’artista che vuole emergere, affermarsi, per conferire alla sua opera quell’essenza di unicità che rende grande l’arte. E come in un concilio filosofico di classicheggiante sapore dialogava con i suoi studenti invitandoli ad interagire con lui; lodava chi si dimostrava meritevole e riprendeva con discrezione gli allievi meno perspicaci come se volesse quasi correggere se stesso nell’aver non sufficientemente esposto con chiarezza l’argomento.
Cominciando dalla Storia Filosofica delle Arti trattava poi in modo più approfondito architettura, scultura, pittura, danza, musica, eloquenza poetica e prosaica in virtù delle quali l’uomo si diletta attraverso la conoscenza del Bello. Esponeva quindi i due principi che le governano; la Composizione e l’Imitazione e “osservava poi l’ordine particolare delle idee, la verità delle medesime e quella spezialmente delle immagini, la naturalezza e la forza degli affetti, che costituiscono il sommo pregio dell’Arte.” (Francesco Reina. Vita di Giuseppe Parini).
Le lezioni pariniane erano insomma finalizzate ad educare il gusto attraverso lo studio di quella disciplina filosofica autonoma che fu una delle maggiori novità prodotte dalla cultura europea di metà settecento; l’estetica.
Ma come si andava configurando nell’estetica pariniana il nuovo concetto di bellezza? Il poeta aveva instaurato con il sistema di tutte le arti all’interno della città di Milano un rapporto coordinato e funzionale con architetti e pittori nel ruolo di suggeritore di soggetti mitologici. Il suo contributo in tal senso, letterario e iconografico, veniva dunque a coincidere col ‘moderno vivere’, dove la scuola pubblica, le accademie, l’insegnamento pragmatico, gli spettacoli teatrali, la stessa vita politica e sociale della nobiltà dominante avevano funzione di edificazione e educazione collettive;
“Il fine delle belle arti si è il ritrovamento e la produzione del bello […] Pochissimi sono que’ fortunati genii che, naturalmente, quasi per istinto, e senza nessun esteriore soccorso, vengono rapiti alla volta di esso. La maggior parte degli altri talenti hanno bisogno che sia loro appianata la via che ad esso conduce. Per molti è necessario di farne loro sentire una volta le attrattive, perché, conosciutolo, vi corrano poi dietro da sé, e divengano al pari d’ogn’altro eccellenti.”
Sentimento e ragione, utile e bello concorrono alla formazione dell’artista; e nonostante la sua produzione si possa definire accessoria alla società collabora a rendere saggi e buoni i propri cittadini.
I nuovi studi ancora in corso delineeranno ancor di più il contributo dell’opera di Parini all’interno della Scuola e degli Istituti Braidensi in particolare. Di sicuro da queste poche testimonianze che ho raccolto se ne intuisce l’elevata portata e il significativo apporto alle arti della Milano neoclassica.
Infine è lecito chiedersi se di maestri appassionati e competenti come questi ci sia bisogno al giorno d’oggi!?! Se lo studio approfondito dei personaggi e dei metodi didattici che impiegarono in quel periodo possano essere nella nostra contemporaneità ancora un valido apporto per stimolare e accrescere il mondo dell’arte, artisti e conoscitori, in questo periodo storico che versa in un pietoso stato di decadenza!?! Mi pare a questo punto scontato che la mia risposta sia entusiasticamente positiva e che in tal senso intendo procedere.

Paola Mangano

fonte: https://passionarte.wordpress.com/
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MILANO: CORTILE DEL PALAZZO DI BRERA
AutoreAschieri Guglielmo (1814/), disegnatore; Cherbuin Luigi (1810/ 1875), incisore; Mazzola Giuseppe (1748/ 1838), disegnatore; Sidoli Alessandro (1812/ 1855 o 1885), disegnatore
Cronologia: post 1836 – ante 1838 – Materia e tecnica: acquatinta
Misure: 220 mm. x 213 mm.
Bibliografia
– Salvatore Settis, Futuro del classico, G. Einaudi, 2004
– Maurizio Ferraris, Anima e iPad, Guanda editore, 2011
– Giuseppe Parini, Delle cagioni del presente decadimento delle Belle Lettere e delle Belle Arti in Italia e di certi mezzi onde restaurarle, 1773
– Opere di Giuseppe Parini pubblicate per cura di Francesco Reina, Milano dalla Società Tipografica de’ Classici Italiani, 1825.
– Cesare Cantù, L’abate Parini e la Lombardia nel secolo passato, presso Giacomo Gnocchi 1854
– Roberto Cassarelli, Giuseppe Bossi e la riforma dell’Accademia di Brera in “Ideologie e Patrimonio Storico-Culturale nell’età Rivoluzionaria e Napoleonica-A proposito del trattato di Tolentino Atti del convegno Tolentino, 18-21 settembre 1997” Ministero Per I Beni E Le Attività Culturali Ufficio Centrale Per I Beni Archivistici 2000
– Giuseppe Petronio, Parini e l’illuminismo lombardo, Edizioni Laterza 1987
– Silvia Morgana, Le Lezioni di Giuseppe Parini professore di Belle Lettere a Milano,
– MARCELLO CICCUTO, Il bello di Parini, ovvero le armonie del gusto nelle pitture verbali del Settecento, in Margini Giornale della dedica e altro, n. 10, anno 2016, Margini– Giacomo Vagni, Le ‘Vite’ di Vasari nelle ‘Lezioni’ di Parini, XX Convegno ADI, La letteratura italiana e le arti
– La Milano del Giovin Signore a cura di Fernando Mazzocca e Alessandro Morandotti, Skira editore, Milano 1999

21/05/18

l'omicidio massonico. Parte 3. L'omicidio rituale e le difficoltà di accertamento

In foto: L'omicidio del piccolo Simonino da Trento


Il delitto rituale e la giustizia. Cenni al delitto di Cogne e quello di Erba.

1. Premessa. 2. L’omicidio rituale: concetto. 3. Come riconoscere l’omicidio rituale. 4. Il calcolo della data 5. Due esempi pratici. I Delitti di Cogne ed Erba. 6. Problematiche di accertamento dell’omicidio rituale. 7. Ragioni storiche e culturali dell’attuale situazione. 8. Un aneddoto conclusivo. 9. Bibliografia.
Premessa.L’omicidio rituale è uno degli omicidi più diffusi da secoli. Tutt’oggi sono delitti rituali molti dei delitti “inspiegabili” della nostra cronaca quotidiana; tali delitti sono inspiegabili e misteriosi infatti solo perché per una serie di motivi (coperture ad alti livelli, disinformazione da parte della gente comune, ecc.) vengono trattati come delitti comuni. Da qui le contraddizioni nelle indagini, gli aspetti oscuri in vicende che sono quasi quotidianamente all’attenzione dei mass media come i delitti di Cogne, Erba, Meredith e Garlasco. Inoltre, a parlare di omicidi rituali, si finisce per essere presi per matti, quindi quei pochi che intravedono la verità spesso tacciono, mentre quelli che ne parlano apertamente come Gabriella Carlizzi, vengono considerati dei visionari.

L’omicidio rituale. Concetto.
Vediamo cos’è l’omicidio rituale, per poi capire il motivo dell’apparente disinteresse degli apparati investigativi e della letteratura scientifica (sia essa psichiatrica o forense).

L’omicidio rituale è quello compiuto non per motivi contingenti e variabili, ma per una finalità precisa, ulteriore al delitto stesso, e funzionale agli interessi di un gruppo organizzato (religioso, sociale, o di altro tipo) o del singolo. Per essere annoverato nella categoria degli omicidi rituali il fatto deve presentare delle caratteristiche costanti, funzionali al raggiungimento dello scopo finale.
In tal senso sono omicidi rituali, oltre ai delitti di gruppi satanici, molti delitti di mafia (non tutti), i delitti di un serial killer, e i delitti massonici.
Nei delitti di mafia, ad esempio, gli omicidi seguono spesso una precisa ritualistica quando si tratta di eliminare un affiliato che ha parlato troppo o ha tradito. Nel libro “Gomorra” Roberto Saviano descrive ad esempio l’uccisione da parte della camorra di un affiliato che si era pentito, che viene ritrovato in mezzo alla strada, col corpo martoriato in modo terribile e la lingua mozzata. Il traditore, in altre parole, non può morire in un modo qualsiasi, ma deve morire seguendo un preciso rituale che serva da deterrente per i delatori futuri, e serva al tempo stesso da sfoggio di potenza da parte dell’organizzazione.
Sono delitti rituali quelli commessi da organizzazioni sataniche, come le cosiddette Bestie di Satana, una delle poche sette che sono incappate nella maglie della giustizia (le altre invece sono libere di agire come a loro pare, grazie alla cospicua letteratura scientifica di esperti famosi che insistono nel sostenere che il satanismo sia un fenomeno poco diffuso, in cui al massimo si sgozza qualche gallina; esperti che però non forniscono mai una risposta alla domanda “che fine fanno le centinaia di bambini italiani che spariscono nel nulla senza lasciare traccia, secondo i dati ufficiali della polizia di stato?”).
Assolutamente mai trattato, nella letteratura, è l’omicidio massonico, così come noi lo abbiamo esposto in articoli precedenti. Eppure l’omicidio massonico vanta una tradizione secolare, sussurrata, ma mai analizzata a fondo. Una tradizione che vede tra le vittime illustri persone come Mozart (si pensa che venne avvelenato perché nella sua opera il Flauto magico aveva rivelato alcuni segreti massonici; e si racconta che il suo requiem è un’opera incompiuta perché lui la stava scrivendo per se stesso, sapendo che lo avrebbero ucciso), e imperatori come Ludovico II di Baviera che non a caso muore in una data ammantata di simbologia rituale massonica: 13 giugno 1886, data il cui valore numerico è – non a caso – 33 (1+3+6+1+8+8+6).

La cosa che colpisce di più è che manca una trattazione degli omicidi rituali anche in opere specialistiche; ad esempio nel manuale “Crime Classification Manual”, cioè il manuale dell’FBI sulla classificazione e investigazione dei crimini violenti, manca totalmente una voce corrispondente a “omicidio rituale”. Troveremo “omicidio domestico”, “omicidio domestico spontaneo”, addirittura “omcidio a sfondo sessuale di donna anziana”, ma neanche un accenno a omicidi rituali di altro tipo. Una dimenticanza non casuale, probabilmente, dato che il rapporto tra omicidi a sfondo sessuale di donna anziana, contro gli omicidi rituali satanici nel nostro paese, è di 1:1000.
Mentre digitando in Internet la voce “omicidio rituale”, oppure cercando dei libri specifici sull’argomento, troverete una marea di libri e informazioni sull’ “Omicidio rituale ebraico”, con tutte le polemiche recenti sul libro di Ariel Toaff “Pasqua di sangue”; poi migliaia di pagine sull’omicidio del Piccolo Simonino da Trento avvenuto nel 1475; ma nulla sull’omicidio rituale dei nostri giorni. Silenzio assoluto.
Non c’è da meravigliarsi poi se le indagini sugli omicidi rituali, come i dodici omicidi presi in considerazione nell’articolo precedente a questo, non vengano riconosciuti come tali. Perché delle due l’una: o chi indaga appartiene all’organizzazione, quindi quando riconosce la simbologia avrà cura di non rivelarla. Oppure chi indaga non la conosce, e inevitabilmente gli parrà fantascienza l’idea di trovarsi davanti ad un’organizzazione tanto complessa da avere collegamenti e radici ovunque, in grado di bloccare ogni indagine in virtù del giuramento di segretezza che vincola gli appartenenti a queste organizzazioni in ogni grado.

Come riconoscere l’omicidio rituale.
L’omicidio rituale si riconosce da alcuni indizi. Un indizio è la data. Poi un indizio importante, nei delitti della Rosa Rossa, è il mancato ritrovamento dell’arma del delitto, che viene acquisita per gli scopi esoterici dell’organizzazione. Un ulteriore indizio è dato dal ritrovamento sulla scena del delitto di oggetti simbolici, come una rosa, dei cerchi, piramidi (nei delitti del mostro di Firenze ad es.) e altro ancora.
Talvolta il simbolo non è in un oggetto ritrovato, ma nel luogo del delitto, o addirittura nel nome degli assassini.
Un esempio di luogo simbolico: nel delitto Pantani il ciclista viene trovato all’hotel “Le Rose”.
Un esempio di delitto ove la firma è nel nome: nell’omicidio di Annalaura Pedron avvenuto nel 1988, gli indagati sono Rosalinda Bizzo e suo figlio David Rosset (quindi la madre dovrebbe chiamarsi Rosalinda Rosset, RR, cioè la firma della Rosa Rossa). Una bella coincidenza. E – ulteriore coincidenza – i due sospettati facevano parte di un’associazione esoterica denominata “Cenacolo 33”. Ce ne sarebbe a sufficienza, solo leggendo un semplice articolo con questi dati, per approfondire la pista del delitto rituale.
Poi ci sono ulteriori indizi: i depistaggi, la sistematica eliminazione dei testimoni, l’appartenenza dei familiari a gruppi esoterici, ecc… Spesso in alcuni delitti, come quello di Cogne e di Erba, ad es. gli indizi che fanno concludere per la ritualità dell’omicidio sono ben più che i classici tre indizi che fanno prova.

Il calcolo della data.
Ma soffermiamoci sul metodo di calcolo delle date.
I numeri utilizzati negli omicidi sono in genere i seguenti:
- 7, il numero perfetto. Il numero che, secondo Oswald Wirth ha una particolarità in quanto nel sigillo di Salomone tutti i numeri opposti riconducono al sette, secondo la “legge del settenario” (Oswald Wirth, pag. 82)
- 8 (che nella cabala simboleggia la giustizia, quindi uccidere qualcuno significa fare giustizia),
- 11 (che ha assunto lo stesso significato dell’8 nella ritualistica rosacrociana della Golden Dawn; fu infatti la Golden Dawn – ai cui rituali si rifà la Rosa Rossa - che cambiò il significato di questo numero, attribuendogli quello della giustizia),
- 13 (che simboleggia la morte e la trasformazione). Il 13 ricorre in particolare, oltre che nei delitti della Rosa Rossa, anche nei delitti di gruppi satanici organizzati. Nei delitti satanici talvolta ricorre anche il 18, perché 18 non è altro che 6 per tre, cioè 666.
- infine quasi tutti i multipli di 11, in particolare il 33, che oltre ad essere il numero 11 moltiplicato per tre, è anche il numero del massimo grado dell’iniziazione massonica.
Occorre infine ricordare che, a parte i multipli dell’ 11 e il numero 13, tutti gli altri numeri vanno sempre ricondotti a un numero di una cifra (ad esempio se il valore numerico di una data è 25, occorre poi sommare nuovamente 2 e 5 e il risultato è 7).
Alcune date sono poi particolarmente simboliche perché ricorrono due o tre simboli numerici in contemporanea. I numeri infatti possono essere combinati anche in modo differente dalla semplice somma aritmetica (Papus, "La scienza dei numeri").
Ad esempio nell’omicidio di Ludovico II di Baviera (13.6.1886) ricorre il 13 iniziale, numero della morte, con il 33, numero della più alta iniziazione massonica; come dire: morte massonica. La sua morte fu archiviata come suicidio per annegamento, ma in epoca contemporanea si è accertato che è stato vittima di un complotto.
Oppure, facendo un esempio recente, Cecilia Gatto Trocchi (una delle maggiori esperte di esoterismo italiane, che aveva spesso parlato del satanismo dei cosiddetti “colletti bianchi” e dei potenti uomini di stato) muore il 11.7.2005. Sommando solo le ultime cifre, 2 e 5, si ottiene un sette; cosicché i simboli numerici che si leggono sono 11.77. Cioè: 11: giustizia; e 77, simbolo che troviamo spesso nei delitti satanici. Inoltre il valore numerico della data nel suo complesso è 7 (1+1+7+2+5 uguale 16 cioè 1-6 che fa 7) simbolo di perfezione ma anche numero della Rosa Rossa. In altre parole già analizzando la data, e considerando gli argomenti di cui si occupava la dottoressa, si può ipotizzare un omicidio e ci sarebbero sufficienti questi spunti per indagare ancora; ma è inutile dire che il caso è stato archiviato come un suicidio.

Due esempi pratici. Cogne e Erba.I delitti di Cogne e di Erba per chi è esperto di esoterismo sono chiaramente dei delitti rituali. Non sono però riconosciuti e trattati come tali per una serie di motivi. Vediamo come giungiamo a questa affermazione.
Iniziamo dalla data.
Erba: 11.12.2006. Valore numerico 13. Da notare che il giorno è l’11, altro numero altamente simbolico negli omicidi.
Cogne: 30.1.2002. Valore numerico: 8.
Poi abbiamo altri indizi. Le armi del delitto non vengono ritrovate; ora, se questo è un fatto teoricamente possibile nel delitto di Erba, dove gli assassini avevano una certa libertà di movimento per far scomparire l’arma, più difficile è capire come sia possibile che Anna Maria Franzoni abbia fatto sparire l’arma del delitto in pochi minuti in una località isolata come quella di Cogne.

Altro indizio. La grande quantità di sangue sparsa ovunque. Al bambino addirittura viene sfondato il cranio, e da un buco fuoriesce materia cerebrale; considerando che la Rosa Rossa utilizza parti di cadavere per i suoi riti, viene il dubbio che quella violenza non derivi dalla brutalità della madre o da quella di un maniaco assassino, quanto dalla volontà di asportare un feticcio da utilizzare per i riti esoterici successivi.
Notevoli poi le similitudini tra questi delitti e quelli esaminati nell’articolo precedenti, delle dodici morti romane: oltre al valore numerico delle data, l’assenza dell’arma del delitto e la grande quantità di sangue persa dalle vittime.

Poi ci sono tanti altri fatti e accadimenti, tutti trascurati dagli inquirenti. Un mese prima del delitto di Cogne, Gabriella Carlizzi – l’investigatrice che più di ogni altra si è occupata di questa organizzazione - aveva avvertito alcuni inquirenti che la Rosa Rossa avrebbe colpito e ucciso un bambino di tre anni dal nome biblico, in una località che richiama il Paradiso. Questo perchè l'investigatrice, da anni ha decriptato i codici con cui gli affiliati alla Rosa Rossa si scambiano i messaggi sui giornali e sulle TV. Quindi aveva previsto con esattezza il fatto.
Ma si sa - si sa - la Carlizzi è pazza, e in tempi moderni un uomo razionale e intelligente non può credere a queste idiozie da superstiziosi. Figuriamoci se questa organizzazione può davvero comunciare tramite giornali e TV!!! Pare fantascienza no?????
Però guarda tu che coincidenza… Il delitto è avvenuto proprio come anticipato e previsto dalla Carlizzi e la questione è ben raccontata in alcuni articoli apparsi sulla rivista Disinformazione.
Poi abbiamo un’altra coincidenza curiosa, rilevata da un criminologo, Carmelo Lavorino. Costui è uno dei criminologi più famosi in Italia, e si è occupato di molti casi importanti, dal mostro di Firenze al giallo di Arce. Egli, analizzando la scena del delitto, è giunto alla conclusione che non poteva essere stata la madre a uccidere, ma il delitto è stato compiuto da qualcuno di esterno. Inoltre la vicenda dei coniugi di Cogne (dal loro trasferimento in una località di montagna, all’uccisione del bambino) è stranamente identica a quella narrata nel racconto di un autore francese, Charles Ramuz, morto nel 1947: due coniugi si trasferiscono in una località di montagna con i due figli di sette e tre anni; il piccolo, che si chiama Celeste, muore in modo analogo a Samuele, nel momento in cui la mamma si allontana per un po’ da casa..
Curiosa coincidenza, vero?
Coincidenze che avrebbero meritato ben altri approfondimenti e – a tacer d’altro – avrebbero dovuto perlomeno portare ad un’assoluzione della Franzoni per non essere raggiunta la piena prova della sua colpevolezza.
Ma coincidenze sulle quali nessuno ha voluto lavorare, né lavorerà.

Dati questi indizi si tratta di trovare la firma, sia essa la firma della Rosa Rossa o di un’altra organizzazione.
Bene.
Nel delitto di Cogne, la località presenta un particolare curioso; essa sorge nel massiccio del Gran Paradiso, a poca distanza dal Monte Rosa.
Mentre nel delitto di Erba l’omicida si chiama Rosa Bazzi, coniugata con Olindo Romano. Ovverosia il suo nome è Rosa Romano. Ancora una volta ricorre RR, senza considerare gli altri riferimenti simbolici e rituali, come la città (Erba… e l’erba richiama il verde, colore per eccellenza dei Rosacroce) o il nome di una delle vittime, Valeria Cherubini: apparentemente un nome come un altro, per chi ritiene l’esoterismo un mucchio di sciocchezze per superstiziosi. Ma un nome che indica molto di più a chi conosce la disputa teologica tra Rosacroce e Chiesa Cattolica.

Non siamo gli unici visionari a pensare che il delitto di Cogne sia un delitto rituale, in realtà. Lo pensa anche Giuseppe Cosco (un investigatore esperto in sette sataniche e criminali) che in un suo articolo reperibile in Internet
http://cosco-giuseppe.tripod.com/esoterismo/samuele.htm
sostiene la tesi del delitto satanico e ritiene che il significato della data consista nel fatto che il 2 febbraio è la festa della candelora, una festa importante per il calendario satanico.
La tesi, pur essendo plausibile, non mi convince, a fronte di tutti gli altri indizi, ben più numerosi, che riconducono, appunto, alla Rosa Rossa, a cominciare dalla data e dal luogo, nonché scorrendo anche i nomi degli affiliati a questa organizzazione che, negli anni, si sono occupati di questa vicenda in veste di esperti.

La nostra, ovviamente, è solo una tesi, suscettibile di approfondimento. Alla luce di quello che diciamo, però, si spiegherebbero bene tutte le contraddizioni apparenti di questa inchiesta. Come mai il padre, pur sapendo che la madre ha ucciso il figlio, decide di mettere al mondo un altro figlio e le sta vicino per tutto questo tempo?
Come mai la madre non ha mai ceduto né confessato? Se ha commesso il fatto in un momento di follia, come mai ha retto psicologicamente senza mai cedere? E se è sana di mente, perché ha ucciso il figlio?
Come mai l’arma del delitto non fu trovata?
Queste e altre domande troverebbero una risposta molto semplice: il padre sa bene la verità e la conosce anche la Franzoni. Ma se la dicessero, chi crederebbe loro?
E se qualcuno gli credesse, quanto resterebbero al loro posto di lavoro, o addirittura quanto potrebbero restare in vita gli inquirenti che provassero ad approfondire la questione?
Ma soprattutto… quanti – anche tra coloro che leggono – sono disposti ad approfondire una simile ipotesi di lavoro, che nessun autore, neanche Dan Brown o Stephen King hanno mai ipotizzato?

Sarebbe interessante poi notare le similitudini tra questi delitti, i dodici precedenti, e quello di Meredith ad esempio dove, guarda tu che coincidenza, non viene trovata l’arma del delitto e il valore numerico della data fa ancora una volta – altra coincidenza – 13. E dove la Rosa Rossa è stata deposta dal padre, come si può leggere in questo articolo on line su Repubblica:
http://www.repubblica.it/2007/11/sezioni/cronaca/perugia-uccisa/prima-notte-in-carcere/prima-notte-in-carcere.html
Ma ovviamente il discorso ci porterebbe troppo lontano e ai nostri fini è sufficiente fermarci qui.

Problematiche di accertamento dell’omicidio rituale.A questo punto è chiaro il motivo per cui nessuno, per molti decenni ancora, tratterà l’omicidio rituale.
In primo luogo è un problema pratico. Chi arriva alla verità muore o viene trasferito.

In secondo luogo c’è un problema culturale. La massoneria - lo si capisce chiaramente anche solo scorrendo l’elenco delle grandi personalità del passato e del presente appartenenti a questa istituzione - ha fatto la storia del mondo, abilmente occultando i suoi segreti più preziosi. Logico quindi che essendo la nostra cultura ufficiale una cultura massonica, ovverosia influenzata grandemente dalla sapienza massonica, è stato espunto dai documenti ufficiali tutto ciò che potesse essere ricondotto in qualche modo a tale associazione e che ne svelasse i segreti. Quindi occorre una paziente opera di studio del simbolismo massonico per poi vedere chiaramente tale simbologia non solo nelle architetture degli edifici, nell’arte, nella cultura, ma anche nei delitti.

A chi obietta che la nostra visione è fantascientifica e sembra opera di un visionario che vuole scrivere un libro di fantascienza, possiamo rispondere agevolmente come segue.

In primo luogo nessun romanzo ha mai rivelato queste verità perché se qualche romanziere lo facesse non farebbe in tempo a pubblicare il libro; sarebbe controproducente mettere in circolazione simili racconti dato che il lettore potrebbe domandarsi “e se fosse vero?”. Ecco perché i romanzi in genere, anche quelli di Le Carrè o Dan Brown, sono molto meno fantasiosi della realtà.

Seconda obiezione. Prima di bollare queste ricostruzioni come fantasie, occorre conoscere ciò di cui si parla.
Se una persona senza conoscere la mafia e senza sapere neanche cosa è Cosa Nostra andasse in Sicilia e trovasse una persona morta e incaprettata, probabilmente riterrebbe fantasia parlare di un'associazione che controlla addirittura la Sicilia intera, uccidendo i traditori in quel modo.
Oppure, per fare un altro esempio, se un investigatore che non conosce il Cristianesimo trovasse in alcuni delitti seriali un riferimento a passi della Bibbia, li archivierebbe come frasi senza senso e non riuscirebbe a individuare la simbologia cattolica in essi contenuta. Quindi, magari, non utilizzerebbe quelle frasi per ricostruire la personalità dell’assassino.
Bene. Coloro che si occupano di delitti rituali senza conoscere la simbologia e la storia massonica, è come se camminassero in una nazione straniera senza conoscerne la lingua; logico che poi sulla scena di un delitto non trovino il bandolo della matassa, non riescano a spiegare le apparenti contraddizioni e trascurino indizi assolutamente evidenti per i non profani.
Se a questo aggiungiamo che i media sono sotto il controllo diretto o indiretto della massoneria, si spiegano le difficoltà riscontrate nell’individuazione della verità per la maggior parte – per non dire tutti - questi delitti.

C’è un terzo motivo, ed è quello psicologico. La realtà, così come la raccontiamo noi, è difficile da accettare e quindi è logico che istintivamente la gente comune non voglia ammettere che possa esistere una situazione del genere. Questa realtà, la maggioranza delle persone non vuole neanche vederla, tanto è intrisa dal razionalismo e dal conformismo della cultura dominante. Spesso viene negata dagli stessi parenti delle vittime, che preferiscono pensare alla sfortuna, ad un accanimento di una sorte avversa che fa capitare loro investigatori incapaci, giornali che per fare scoop riportano notizie false, piuttosto che credere ad un meccanismo complesso come lo abbiamo descritto noi. Complesso e preciso come un orologio, perché da secoli certe realtà sono solo “sussurrate” e raramente venute fuori in modo esplicito.

Infine, c’è un quarto motivo. Ammesso e non concesso che un tribunale volesse prendere in considerazione l’ipotesi dell’omicidio rituale, ammesso e non concesso che questo tribunale sia immune da contaminazioni massoniche (ipotesi praticamente fantascientifica), sorgerebbero delle difficoltà di accertamento processuale insormontabili. Se con una certa difficoltà si potrebbero individuare gli esecutori (questo, anche se raramente, talvolta è stato fatto, come è accaduto nei delitti del Mostro di Firenze e di Erba) è quasi impossibile individuare i mandanti, trattandosi di un’organizzazione che non comunica certo per lettera o telefono, ma tramite messaggi veicolati da frasi in codice, con qualsiasi mezzo di comunicazione, dalle comuni lettere, ai giornali e alle Tv, ai libri (libri talvolta diffusi in edizione limitata tramite cerchie ristretti di aderenti ad associazioni o clubs, ecc.), ma comunque sempre tramite una simbologia e un linguaggio sconosciuti ai non iniziati.
Quindi l’ipotesi di un tribunale che indaghi sui delitti della Rosa Rossa, è assolutamente fantascientifica perché l’organizzazione non potrebbe mai processare se stessa essendo essa incardinata fino ai più alti vertici dello Stato.

Ragioni storiche e culturali dell’attuale situazione.
So che quello che dico e le cose che scrivo in questo articolo faranno sì che la maggior parte delle persone mi considererà un visionario. E ciò è comprensibile.
Quando avevo vent’anni, ritenevo assurde e deliranti le tesi del difensore di Pacciani, Fioravanti, che indicava la pista esoterica per quegli omicidi, cercando di scagionare il suo assistito.
E quando, anni dopo, cominciai a capire “il sistema”, penetrando i suoi segreti più nascosti, o semplicemente intuendoli, rimasi a lungo perplesso e la mia principale domanda fu: “se non sono pazzo, e quello che ho scoperto è vero, come è possibile creare un meccanismo del genere? Come è possibile essere giunti fino a questo punto di raffinatezza criminale, da parte dei poteri occulti, e di ignoranza da parte di noi cittadini ignari? Come è possibile una così sistematica presa in giro da parte di tutti, politici, mass media, inquirenti”?
Poi, lentamente, è venuta fuori la risposta.

Il problema dell’omicidio rituale è prima di tutto culturale e storico.
Tutti noi siamo infatti circondati dalla cultura Cattolica (che in genere conosciamo a sufficienza da saperla riconoscere nei principali fatti della vita quotidiana); ma siamo anche un popolo circondato dalla cultura massonica; con la differenza che la cultura massonica non la conosce nessuno se non gli uomini di potere e di cultura; quindi i suoi simboli e i rituali, il modus di agire, sono sconosciuti alla maggioranza.
Infatti per secoli i Rosacroce, i Templari e la massoneria in genere si sono nascosti per sopravvivere alla feroce lotta che la Chiesa e i sovrani muovevano contro di loro, a causa delle ricerche e delle idee che costoro portavano avanti.
Queste associazioni hanno quindi effettuato in segreto ricerche scientifiche, tecnologiche, ed esoteriche, perché altrimenti il potere ufficiale di allora non l’avrebbe permesso.
La segretezza attuale dell’associazione Rosa Rossa, quindi, ma al tempo stesso la sua potenza e onnipresenza nello stato, non deve stupire, perché è la logica conseguenza storica del comportamento della Chiesa per secoli. I Rosacroce e le altre associazioni segrete erano spesso collegate tra loro, e hanno sviluppato una struttura sempre più efficiente.
Nei secoli si sono rafforzate e strutturate sempre più e hanno rovesciato le monarchie.
Per secoli si sono fronteggiati due poteri: la Chiesa (e gli imperatori) e la Massoneria; la prima in modo visibile, la seconda in modo quasi invisibile.
E ci vorranno ancora parecchi decenni prima che la massoneria esca completamente alla luce e sia visibile a tutti.
Finché non si inizierà a studiare la cultura massonica e la storia della massoneria (che poi è anche la storia del mondo occidentale degli ultimi 8 secoli), finché la cultura massonica non sarà studiata anche dalla gente comune, ma soprattutto da investigatori e giornalisti, tutti i delitti massonici rimarranno sempre irrisolti.
Il mio parallelo con la cultura cattolica non è casuale. Come dice uno dei massoni più intelligenti e sottili, cioè il Gran Maestro Di Bernardo (curiosa “coincidenza” che il cognome del Maestro sia lo stesso di San Bernardo, il monaco che codificò la regola dei templari): “ci sono due Chiese oggi: La Chiesa Cattolica e la Chiesa Massonica”. La Chiesa massonica è stata per secoli, come loro giustamente rivendicano, il tempio del libero pensiero, in contrapposizione alla Chiesa Cattolica, che voleva imporre il suo credo ovunque bollando come eretico chiunque osasse mettere in dubbio le scienza ufficiale di allora; quindi si mandava al rogo chi affermava teorie innovative sulla terra e l'universo (Giordano Bruno), e si massacrava in massa chiunque, pur aderendo al messaggio Cristiano, non riconosceva la gerarchia ecclesiastica (i Catari).
Oggi la massoneria rosacrociana e templare, cioè quella più potente e segreta (quella speculativa, che si rifà veramente alle sue origini e non utilizza la struttura massonica per finalità di potere), continua ad essere il tempio del libero pensiero, per quanto riguarda alcuni aspetti della nostra vita spirituale e culturale. Ma purtroppo utilizza il vincolo di segretezza massonico per proteggere se stessa e i delitti commessi dai loro associati nonché per eliminare coloro che ne rivelano i segreti. Inoltre la massoneria continua a tenere per sé molte delle sue conoscenze acquisite nei secoli, non più per crescere ed elevare spiritualmente l’uomo come invece faceva nei secoli scorsi ma esclusivamente per finalità di potere e per tenere soggiogati i cittadini, che credono alla verità dei giornali e telegiornali, all’oscuro di quel che avviene realmente nelle stanze del potere.

Un aneddoto conclusivo.
A proposito delle difficoltà di accertamento dei delitti rituali mi ricordo un episodio capitatomi personalmente. Un funzionario della Digos ci stava interrogando sull’avvelenamento di Solange; alcune cose non gli quadravano; decidemmo allora di aprirci completamente e di raccontargli alcune vicende che fino a quel momento avevamo omesso.
- Perché non le avete raccontate prima? – chiese lui un po’ arrabbiato.
- Sa, perché si tratta di vicende complicate, non tutti sono preparati per affrontarle e non sapevamo se voi eravate competenti in materia. –
- Di che si tratta? – domandò lui
- Massoneria – dissi io – ma non so se siete competenti anche su questo.
- Certo che siamo competenti in fatti di massoneria – rispose lui – Siamo la Digos, noi, mica “pizza e fichi” –
- Bene. Cominciamo dall’inizio. Sa, il padre della mia collega era iniziato al Grande Oriente d’Italia….
- Cosa è il Grande Oriente? – chiese il funzionario.
A quel punto capii che l’interrogatorio si sarebbe risolto come in effetti si risolse: Solange si era avvelenata da sola, forse si drogava, e io la coprivo perché, abitando nella stessa casa, non potevamo che essere amanti e io quindi ero suo complice.
Figuriamoci se avessimo spiegato al funzionario il problema della data e dei simboli.
Inutile dire che quando siamo stati vittima di alcuni tentati omicidi, in epoca successiva non siamo mai più andati alla Digos. Tentati omicidi in date – guarda tu che coincidenza – dal valore numerico 8 per il primo caso (17.9.2007) e 13 nel secondo caso (2.1.2008); abbiamo denunciato il fatto ai carabinieri ove perlomeno non ci hanno trattato come matti, ma, anzi, quando abbiamo detto che avevamo subito due incidenti di moto nello stesso giorno, il commento è stato un più professionale “avvocato, avete rotto le scatole a qualche politico, vero?”.
Per la precisione, la denuncia fu fatta solo per i fatti del 17, che coinvolgevano anche Solange. Quelli del 2 coinvolgevano me in prima persona, e non andai mai a denunciarli, perché si sa, da quando mi occupo di queste cose sono suggestionabile e mi allarmo per niente. E poi vedo Rose Rosse dappertutto. E avendo capito perfettamente come funziona la giustizia, preferisco affidarmi a quella divina, che mi farà morire non un minuto prima, né un minuto dopo, rispetto a quello che il destino mi ha preparato.
In questo la massoneria potrebbero avere una parte di ragione: il mondo è fatto di pesi, numeri e misure, e conoscere il segreto dei numeri significa conoscere il segreto dell’universo.

Bibliografia:

Per la simbologia numerica:
Oswald Wirth, I Tarocchi, ed. Mediterranee.
Papus, La scienza dei numeri, ed. Mediterranee.
Si tenga presente che questi due autori sono massoni e rosacrociani, tra i più colti e famosi, quindi si tratta di opere autorevoli.

Sulla disputa teologica tra massoneria rosicruciana e Chiesa Cattolica:
Angela Pellicciari, I Papi e la massoneria, ed. Ares
AA.VV. La Massoneria, Ecco il nemico, Edizioni Civiltà Brescia.
AAVV La massoneria e i suoi segreti. Edizioni Civiltà Brescia.

Per una storia completa dei rapporti tra massoneria e Chiesa, fino al Nuovo ordine mondiale attuale: Ephifanius, Massoneria e sette segrete, la faccia occulta dalla storia.

La citazione di Di Bernardo è tratta da Ferruccio Pinotti, Fratelli d’Italia, ed. BUR

Alcune informazioni sulla Rosa Rossa sono contenute in: Gabriella Carlizzi, Gli affari riservati del Mostro di Firenze.

I rituali magici della Golden Dawn (rituali cui si rifà la Rosa Rossa), sono pubblicati in Italia da Edizioni Mediterranee, a cura di Sebastiano Fusco (ma ne esiste in commercio un’edizione precedente a cura di I. Regardie).
Poscritto.
A seguito dell’articolo Gabriella Carlizzi se l’è un po’ presa, perché l’ho definita “pazza”.
Si rendono quindi doverose alcune precisazioni.
Il termine era ironico, e ciò mi pareva evidente perché anche io mi sono definito pazzo all’interno dello stesso articolo.
Inoltre, subito dopo ho detto che le sue previsioni si avverarono… e le previsioni di un pazzo non si avverano, in genere, specie quelle particolarmente precise realtive ad argomenti difficili come questo,
Gabriella è la prima persona che ha parlato esplicitamente della Rosa Rossa, svelandone i rituali e i segreti.
Leggendo il suo libro “Gli affari riservati del mostro di Firenze” capimmo, ad esempio, che la rosa rossa deposta sull’uscio di casa di Solange dopo la morte del padre non era il regalo di un innamorato anonimo, come lei aveva pensato per anni, ma la firma dell’organizzazione.
Grazie alle indicazioni della Carlizzi io mi salvai la vita il 2.1.2008.
Anche se è un personaggio difficile da capire, e per certi versi contraddittorio, è quella che conosce meglio di ogni altro questa organizzazione e spero che un giorno metta a disposizione di tutti le conoscenze che lei ha relativamente a questa organizzazione.
Se lei è pazza, lo sono anche io, perché entrambi abbiamo il difetto di vedere rose rosse ovunque.

Fonte tratta dal sito .

fonte: http://wwwblogdicristian.blogspot.it/

12/05/18

il Cavallo Bianco della collina di Uffington


Il Cavallo Bianco di Uffington è una figura preistorica tracciata sul pendio di una collina chiamata White Horse Hill. Il prezioso lascito si trova a mezzo miglio dal paese di Uffington nella contea Oxfordshire. La miglior vista dell'antica immagine si gode dall'altro lato della valle, in una zona compresa tra le 20 e le 5 miglia, questo perché il geoglifo, disegno sul terreno, vanta delle misure eccezionali: è lungo 114 metri e alto 34. Intorno a questa figura stilizzata sono sorte molte leggende, tra cui quella che accosta il cavallo bianco al drago ucciso da San Giorgio nella vicina zona di Dragon Hill. Una storia che si perde nella notte dei tempi vorrebbe assimilare il geoglifo alla dea celtica Epona, dalla forma non umana ma di cavallo. La dea era adorata per i suoi poteri relativi alla fertilità, alla guarigione e alla morte. In seguito a questa leggenda si ricordava che se una donna avesse trascorso una notte sdraiata sull'occhio del cavallo avrebbe dato poi alla luce un bellissimo figlio. Epona era una figura della religione celtica, passata alla religione romana come la dea dei cavalli e dei muli. La presenza della cornucopia, che costituisce un simbolo tipico della dea, pone in rilievo la sua funzione di protettrice e dispensatrice di doni e di fertilità. 


La dea potrebbe avere origini ancora più lontane nel tempo e risalire al periodo dei popoli venuti dalle grandi praterie dell'Asia centrale, che in seguito si spostarono lungo la valle del Danubio in Europa centrale e occidentale. La dea potrebbe essere l'incarnazione dell'antico culto in onore dei cavalli. Grazie agli esami archeologici e ad innovativi metodi d'indagine, dal 1994 è stato dimostrato che la figura risale a circa 3000 anni fa, e quindi al periodo relativo all'età del bronzo. Queste nuove rilevanze hanno scalfito l'antica idea che la figura potesse risalite all'età del ferro o, addirittura, all'Alto Medioevo. Queste vecchie supposizioni si basavano sul rinvenimento di monete recanti l'immagine del Cavallo Bianco di Uffington. Inoltre dobbiamo ricordare che nelle vicinanze della figura si trovano importanti siti preistorici, che potrebbero collegarsi alla rappresentazione del cavallo sulla collina.  Un secondo dubbio che ha attanagliato la mente dei ricercatori riguarda l'animale rappresentato dalla figura: cavallo o altro? Esistono due fonti medievali che raccontano del geoglifo. 


La prima è il rotolo di pergamena di Abingdon, scritto da monaci tra il 1072 e il 1084, che narra di mons albi equi ossia la collina del cavallo bianco a Uffington. La seconda fonte è un libro gallese che si chiama Llyfr Coch Hergest, il libro rosso di Hergest, scritto tra il 1375 e il 1425. All'interno del volume gallese si legge “vicino alla città di Abingdon c'è una montagna con una figura di stallone su di essa ed è bianca, nulla cresce su di essa”. Pochi dubbi che la figura rappresenti effettivamente un cavallo. Quindi siamo in presenza di un cavallo bianco su una collina che potrebbe risalire ad oltre 3000 anni fa e che dovrebbe essere in correlazione con la dea celtica di Epona. Ma la datazione e la correlazione non sono sufficienti a spiegare questa enorme figura visibile solo dal cielo o dall'altra parte della valle poiché, data l'angolazione del pendio su cui il cavallo è scavato, solo una piccola parte della stessa è visionabile dall'osservatore sul terreno. 


Questo fatto potrebbe aprire scenari riferibili al sacro o al magico. L'archeologo dell'università di Southampton, Joshua Pollard, ha indicato l'allineamento del cavallo con il sole, in particolare in pieno inverno quando il sole sembra superare la figura, per avvalorare la tesi che il geoglifo sia stato creato come raffigurazione di un cavallo solare, riflettendo credenze mitologiche secondo le quali il sole era trasportato attraverso il cielo sopra un  cavallo, un carro o una chiatta.  Una domanda che sorge spontanea è relativa alla pulizia del sito e, in particolar modo, della figura. Fino al XIX secolo, ogni sette anni il cavallo era scavato nuovamente in occasione di una fiera locale che si svolgeva sulla collina. Durante questo ritrovo avvenivano battaglie con randelli, corse di cavalli, gare di rotolamento di oggetti e altri tipi di attrazioni per la folla. Questa fiera era già nota nel 1736 quando lo scrittore Francis Wise disse che “la cerimonia di pulizia del cavallo, da tempo immemorabile, è stata effettuata da un grande numero di persone proveniente dai villaggi delle vicinanze”. La manutenzione del cavallo fu sospesa solo durante la seconda guerra mondiale quando fu ricoperto da tappeti erbosi e siepi per non essere facilmente riconoscibile dall'alto. Il motivo di tale accorgimento? Non permettere ai piloti della Luftwaffe di utilizzarlo come riferimento durante i bombardamenti della Gran Bretagna. 


Purtroppo negli ultimi anni temporanee manifestazioni pubblicitarie, tra cui quella del Grande Fratello versione inglese, hanno rischiato di intaccare la bellezza e la sacralità del luogo. La mancanza di rispetto per il nostro passato è prerogativa di questa stanca e vuota civiltà.

Fabio Casalini

fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.it/

Bibliografia
Bramwell, Peter (2009). Pagan Themes in Modern Children's Fiction: Green Man, Shamanism, Earth Mysteries. New York: Palgrave Macmillan

Darvill, Timothy (1996). Prehistoric Britain from the Air: A study of space, time and society. Cambridge: Cambridge University Press.

Dyer, J (2001). Discovering Prehistoric England. Oxford

Miles, David; Palmer, Simon; Lock, Gary; Gosden, Chris; Cromarty, Anne Marie (2003). Uffington White Horse and its Landscape: Investigations at White Horse Hill, Uffington, 1989–95 and Tower Hill, Ashbury, 1993–4. Thames Valley Landscape Series. 18. Oxford: Oxford University School of Archaeology

Plenderleath, Rev. W.C. (1892). The White Horses of the West of England. London: Allen & Storr.

FABIO CASALINI – fondatore del Blog I Viaggiatori Ignoranti
Nato nel 1971 a Verbania, dove l’aria del Lago Maggiore si mescola con l’impetuoso vento che, rapido, scende dalle Alpi Lepontine. Ha trascorso gli ultimi venti anni con una sola domanda nella mente: da dove veniamo? Spenderà i prossimi a cercare una risposta che sa di non trovare, ma che, n’è certo, lo porterà un po’ più vicino alla verità... sempre che n’esista una. Scava, indaga e scrive per avvicinare quante più persone possibili a quel lembo di terra compreso tra il Passo del Sempione e la vetta del Limidario. È il fondatore del seguitissimo blog I Viaggiatori Ignoranti, innovativo progetto di conoscenza di ritorno della cultura locale. A Novembre del 2015 ha pubblicato il suo primo libro, in collaborazione con Francesco Teruggi, dal titolo Mai Vivi, Mai Morti, per la casa editrice Giuliano Ladolfi. Da marzo del 2015 collabora con il settimanale Eco Risveglio, per il quale propone storie, racconti e resoconti della sua terra d’origine. Ha pubblicato, nel febbraio del 2015, un articolo per la rivista Italia Misteriosa che riguardava le pitture rupestri della Balma dei Cervi in Valle Antigorio.